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“La Coppa d’Oro” e l’ontologia di Amadeus Voldben

Vicovaro – Tutta l’opera di Amedeo Rotondi, comprese le pubblicazioni che abbiamo finora commentato (ad esempio qui), è attraversata, più o meno esplicitamente, da alcuni schemi di pensiero, su cui d’altronde si fonda la filosofia dell’autore, e che sono influenzati soprattutto dal platonismo, dal cristianesimo, dall’esoterismo e dai testi sacri asiatici. Ne La Coppa d’Oro. Insegnamenti dei Maestri fonte di Luce e di Energia, però, questi schemi assumono un carattere più compiuto, diventano il centro del discorso e guidano il lettore, di conseguenza, a un orizzonte più generale rispetto a quello dei libri precedenti, che si concentravano sullo studio di precise culture (come nella serie delle Perle) o su argomenti più circoscritti (come il linguaggio in L’arte del silenzio e l’uso della parola, la storia in Dopo Nostradamus e la morale in Un’arte di vivere).

Per questo motivo, La Coppa d’Oro, che non a caso è uno dei libri più noti di Rotondi, può essere considerato forse il primo sistema ontologico/teologico da lui pubblicato, e di conseguenza uno dei migliori punti di partenza per avvicinarsi al filosofo. Uscito a nome Amadeus Voldben per la prima volta nel 1979 con SAS Edizioni e poi riedito nel 2000 dalle Edizioni Mediterranee, questo libro si articola infatti in tredici capitoli e affronta macro-questioni come l’ordinamento dell’essere, il senso dell’esistenza umana e il rapporto con la divinità. Argomenti che Rotondi sfida di petto ma senza per questo rinunciare a quello spirito enciclopedista e quella passione per le filosofie antiche che lo caratterizzano. Dalla premessa, del resto, apprendiamo come «In queste pagine sono raccolti insegnamenti provenienti da varie fonti, uniti da un filo unico: la realtà della Presenza Divina nell’uomo». A differenza della serie delle Perle, tuttavia, e ad eccezione di alcuni scritti di San Paolo riportati in un a parte a fine libro, La Coppa d’Oro non esplicita le fonti a cui allude, impedendo perciò di misurare con precisione quanto della scrittura di Rotondi sia citazione e quanto no. L’uniformità dello stile del libro, in realtà, mostra chiaramente come il libro sia, almeno, una rielaborazione massiccia delle fonti; ma soprattutto questa operazione di introiezione degli insegnamenti dei saggi permette di individuare di per sé un punto importante della filosofia di Rotondi – cui del resto è dedicato il capitolo I Maestri e le Guide – ovvero il movimento che porta la «Luce» dal «Sole centrale» a «Gesù, il Cristo», che a sua volta la rimette ai «Grandi Maestri», che, ancora, conducono le «benefiche radiazioni» ai «discepoli», anch’essi destinati, alla fine della linea, a diventare «per gli altri sorgente emanante della stessa radiazione».

In Rotondi, di conseguenza, storia e filosofia coincidono; non però nei termini del materialismo storico, bensì in una formula di emancipazione dell’uomo che passa dall’illuminazione attraverso la conoscenza dei Maestri e il cammino entro la «Via dell’Amore» (capitolo Questa è la Via), con un’idea di «Verità» al di sopra della storia che «non cambia mai» (Verso la Grande Luce). Il senso della vita umana, insomma, è sospeso tra un disegno universale che Rotondi desume dal cristianesimo (attribuendo a Gesù, nel capitolo Ecco l’uomo, il ruolo di figura mediatrice, «Uomo-Dio, Maestro dei Maestri») e contamina, poi, con alcuni elementi di altre filosofie (come il manicheismo per l’opposizione netta tra bene e male o le filosofie orientali per il ruolo del karma), e una vita pratica alimentata da La preghiera del cuore, da La cintura protettiva (contro «le forze sinistre che minacciano il mondo») e da Le affermazioni della luce (che fanno capo all’affermazione primigenia dell’«“Io SONO”»).

La Coppa d’Oro, che come tutti i libri dell’autore si pone come obiettivo principe quello di «beneficiare» al lettore (motivazione ora ulteriormente e più filosoficamente giustificata dal movimento Dio-Maestri-discepoli), si offre insomma come tassello importante del pensiero rotondiano, raccogliendo gli spunti articolati nei libri precedenti e fissando quindi, alla fine degli anni ’70, un momento di consapevolezza e volontà di sistematizzazione da parte dell’autore, sotto un segno di cristianesimo sincretico cui fa capo tutta la sua produzione.