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Amedeo Rotondi da Vicovaro e la “Saggezza dell’Oriente”

Vicovaro – Scrivere e venire da un piccolo paese sono due possibilità dell’esistenza che non sempre si rafforzano reciprocamente: può capitare che la periferia schiacci il talento, oppure che il secondo fiorisca dalla prima, o ancora che il talento porti lontano dalla periferia. I motivi sono molto complessi – e anche pragmatici: che se ne fa un piccolo paese della scrittura? degli scriventi? – e impossibili da affrontare qui. Tuttavia, spazi come questo possono offrire l’occasione per scoprire (o riscoprire) autori che – per volontà o per oblio – si sono allontanati dalla loro origine.

È il caso di Amedeo Rotondi, il quale, secondo chi scrive, meriterebbe una rivalutazione, quantomeno a Vicovaro, sua terra natale: scrittore, filosofo, fondatore della prima libreria esoterica d’Italia (la Libreria Delle Occasioni a Roma), Rotondi invoca una riscoperta che il suo paese, almeno fino ad oggi, non ha ancora avviato. È per tale ragione, quindi, che si è pensato di dare inizio a una serie di articoli dedicati ai suoi libri, con l’obiettivo di rileggerli, interpretarli nei tratti essenziali e inserirli in una mappa che possa orientare il lettore di fronte alla prolificità e all’ampiezza di sguardo di questo autore.

Dacché si vuole seguire un ordine cronologico, va da sé che il primo lavoro preso in considerazione è l’esordio di Rotondi, dato alle stampe originariamente nel 1962, poi riedito da Astrolabio nell’81 (e a questa edizione facciamo qui riferimento). Saggezza dell’Oriente – questo il titolo – non è tuttavia un vero e proprio esordio, dal momento che si configura come una raccolta di massime estrapolate da grandi opere orientali, in cui l’autore si limita al ruolo di selezionatore e riordinatore di brani (che vengono numerati – da 1 a 614 – e divisi in dodici capitoli), non di produttore effettivo.

Già la scelta dei testi, però – che ricade su fonti come Lun-Yu, Lao-Tse, Bhagavad Gita, Aurobindo, ma anche Tolstoi, secondo un’idea di Oriente anch’essa personale – suggerisce alcuni tratti essenziali del pensiero di Rotondi, concretizzati, poi, anche dai titoletti che accompagnano le massime («I veri saggi», «Rettitudine e dovere», «I valori reali e quelli illusori»…). I testi scelti, infatti, hanno a che fare soprattutto con la conoscenza e con l’etica, e ciò che sembra emergere dalla lettura è una definita idea di bene, una coincidenza tra sapere e virtù, un’ispirazione mistica/neoplatonica.

Tali impressioni vengono del resto confermate dall’elemento più prezioso del libro (questo, sì, contributo originale), ovvero la prefazione che Rotondi inserisce nell’edizione dell’81. Qui sono infatti esplicitate le ragioni dell’operazione, nonché alcune linee teoriche fondamentali (che alle ragioni, naturalmente, si intrecciano). A un certo punto ad esempio leggiamo: «Il vero è universale e si ritrova ovunque, fra gli uomini di tutte le età e viventi in qualunque latitudine, poiché essi, tutti, sono le scintille emanate dall’unica fonte, raggi dello stesso sole.» Come si evince, il sincretismo di Rotondi – nonché la sua ricerca onnivora e curiosa – solo in prima battuta ha un intento divulgativo; più profondamente – e questo è il dato che più vogliamo sottolineare – esso risulta motivato da una convinzione religiosa “universalistica” ed eclettica: i valori delle massime orientali, come si legge, «li ritroviamo nel Cristianesimo che nell’Amore, più altamente inteso, li completa e li perfeziona».

Anche se la filosofia cristiana sembra mantenere un certo primato («l’amore cristiano, coronamento di ogni saggezza»), per Rotondi le culture concorrono dunque a un sapere globale. E solo riconoscendo questa comunanza intellettuale – possiamo concludere – si riconosce anche una comunanza di sofferenza, quindi di necessità di cura, che la saggezza e la letteratura sono pronte a fornire. La visione di Rotondi, insomma, è quella di un sapere al servizio del «bene», di una letteratura come farmaco; e da qui si comprende la posizione eclissata dell’autore, che vediamo ora come effettiva messa in pratica di un’idea: il ruolo dello scrittore è quello di demiurgo di una scienza che lo precede; egli la eredita, la ricerca e la ordina; poi la «offre al lettore come all’amico cui si consiglia un rimedio efficace, una ricetta già esperimentata».

[Le foto contenute nell’articolo sono di proprietà dell’Archivio Amedeo Rotondi e riportate qui per sua gentile concessione]