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Sulla chiaroudienza. La voce misteriosa di Amedeo Rotondi

Nessuna descrizione della foto disponibile.Vicovaro – Il problema della parola, in Amedeo Rotondi (il filosofo originario di Vicovaro a cui stiamo dedicando una serie di articoli di approfondimento), compare fin dalle prime prove della sua riflessione. A tale questione – che potremmo riassumere nella domanda su quale siano il valore e l’uso migliore della parola, specificità umana – è del resto dedicato il primo libro vero e proprio dell’autore, L’arte del silenzio e l’uso della parola. Il tema, tuttavia, affiora costantemente nella sua produzione e, a ben pensarci, si lega direttamente con la sua scrittura, visto che un punto fisso della filosofia/ideologia letteraria di Rotondi è quello che intende la scrittura come operazione in fin dei conti morale, come condivisione volta al bene di chi legge. Vale la pena ricordare velocemente, qui, la formula “Volontari del Bene” che è entrata, oltre che nel libretto “da taschino” dello stesso autore (I Volontari del Bene, appunto), anche nello pseudonimo più usato da Rotondi, Amadeus Voldben.

E proprio dallo pseudonimo possiamo partire per analizzare il libro che consideriamo oggi, che riprende in maniera esplicita il problema della parola, appunto, ma che si presenta eccezionalmente pubblicato senza pseudonimo: la firma, stavolta, è proprio quella di Amedeo Rotondi, nome di battesimo che l’autore aveva utilizzato, in precedenza, solo per pubblicazioni in qualche modo “d’eccezione”; ad esempio quelle della collana Le Perle (in cui in effetti Rotondi ha solo ruolo di compilatore e prefatore e non si esprime direttamente in maniera significativa) oppure nel Ricordo dei nostri martiri, opuscolo commemorativo per un anniversario della strage nazifascista delle Pratarelle e non destinato alla pubblicazione. Capire per quale motivo in questo lavoro non compaia lo pseudonimo è, di fatto, impossibile, e forse solo determinato da un caso – ma ci piace osservare, anche solo per curiosa puntualità filologica, come a legare i due libri di Rotondi, già accomunati dal centro tematico dato al linguaggio, ci sia anche un’occorrenza paratestuale: L’arte del silenzio e l’uso della parola è l’unico libro pubblicato da Rotondi con lo pseudonimo Vico Di Varo, mentre La voce misteriosa, tra i libri “canonici” (da cui si escludono, cioè, la curatela delle Perle e l’opuscolo Ricordo dei nostri martiri), è l’unico a essere pubblicato col nome di battesimo.

La voce misteriosaDallo pseudonimo – che ha dunque quasi l’effetto di un meta-lavoro sul ruolo della parola, benché magari involontario – passiamo poi al contenuto. Ho già detto il titolo: La voce misteriosa. Uscito nel 1986 per la casa editrice Astrolabio (con cui l’autore aveva già pubblicato nell’81 la riedizione di Saggezza dell’Oriente, primo volume delle Perle), il libro riprende il tema della parola e lo applica a una dimensione peculiare, che è quella dell’esoterismo. Altro dato importante da sottolineare, infatti, è l’evoluzione degli interessi di Rotondi nel ventennio che separa L’arte del silenzio e l’uso della parola da La voce misteriosa: in questo periodo è maturata, nel filosofo, proprio l’apertura al mondo esoterico, di cui è testimonianza diretta (e tra le prime più esplicite e compiute) Il Protettore invisibile, ovvero il libro immediatamente precedente a La voce misteriosa. Se L’arte del silenzio e l’uso della parola, infatti, esplorava il ruolo del linguaggio umano su un piano, diciamo, “neutro”, nel libro dell’86 la parola acquisisce una capacità ulteriore, quella riguardante la comunicazione in certo senso non umana, oppure – seguendo la filosofia dell’autore – umana a un livello più profondo e illuminato.

Primo oggetto di interesse del libro, infatti, è il fenomeno della «chiaroudienza», quello che, in parallelo alla chiaroveggenza, permette di sentire al di fuori dell’esperienza contingente, e di sentire, soprattutto, la «misteriosa voce che parla dentro di noi» (p. 6). Questo fenomeno è letto da Rotondi come esempio della capacità umana superiore, una capacità insita nell’individuo ma applicabile solo nei casi in cui l’individuo si apre all’ascolto – letteralmente, stavolta – di questa eccedenza, in contrapposizione al materialismo delle filosofie che Rotondi avversa, ovvero il marxismo con la sua immanenza e la reductio all’inconscio operata dalla psicoanalisi.

A corredo di questa tesi, il filosofo segue quindi innanzitutto a raccogliere testimonianze sparse nella storia, e particolare ruolo è dato al Genio di Socrate, cui Rotondi dedica il secondo capitolo del libro (pp. 24-31). Il celebre daimon socratico è allora riletto alla luce dell’«Io spirituale» a cui Rotondi aveva assegnato una parte di rilievo nel Protettore invisibile: «Gli ateniesi credevano nei démoni come intermediari fra gli dei e gli uomini: questa credenza era tradizione. Ma, il démone da cui Socrate diceva di essere ispirato, non apparteneva a questa categoria: era altra cosa. Per questo lo accusarono di essere un creatore di déi. Non sarebbe, forse, azzardato affermare che il démone per Socrate fosse quello che oggi noi chiamiamo Io spirituale?» (p. 25). Criterio fondamentale, insomma, è questa – come dire – elevazione della fonte: la voce misteriosa del titolo non ha a che fare con il corpo se non indirettamente, e proviene da un livello più sotterraneo e complesso, che riesce a essere, contemporaneamente, profondamente interno all’individuo e in qualche modo a egli esterno, trascendente.

Questa doppiezza è forse anzi l’impianto su cui si regge il ragionamento del libro, che raccoglie esperienze e argomenti posizionabili su entrambi i livelli. Accanto al daimon di Socrate, per esempio, sono citate «le religioni rivelate», i cui testi sacri sono «libri dettati» e in cui la voce che interviene «è sempre di origine trascendente» (p. 32); oppure la stessa ispirazione letteraria, che si manifesterebbe come «consiglio dalla voce interiore» (p. 41). Per contro, in complementarità e sovrapposizione con questa fonte “esterna”, co-agisce anche un moto interno, che parte dal soggetto, e che gli permette di utilizzare (o di ascoltare più efficacemente) la voce interiore. I casi, dice l’autore, in cui questo avviene, sono legati soprattutto a Situazioni di pericolo e Momenti di dolore, in cui, come si spiega nel quinto capitolo (pp. 52-64), la voce interviene come supporto, rivelazione, ispirazione, intuizione utile al soggetto.

Chiave di volta che sostiene queste due direzioni, dunque, è esattamente l’Io spirituale. «La preghiera è colloquio con l’Io spirituale e con la Fonte stessa della Vita da cui l’Io spirituale deriva» (p. 64): con questa frase si chiude la Prima parte del libro, che è segnata quindi da un ritratto esplicito dell’«illuminazione» dell’individuo come contatto profondo con l’Io spirituale, dimensione con cui, identificandosi, si raggiunge «l’essenza dell’evoluzione» umana. Altra particolarità de La voce misteriosa, per altro, è proprio questa divisione tra Prima parte e Seconda parte, a loro volta composte da vari capitoli: una struttura inconsueta per Rotondi, ma che permette di visualizzare per bene le due fasi – certo relate – del discorso. Nella Prima parte, infatti, l’obiettivo dell’autore è, come visto, quello di spiegare il fenomeno della chiaroudienza e di elencare, a vantaggio dell’argomentazione, una serie di esempi, soprattutto storici. Nella Seconda parte, invece, passando per la centralità (anche nella struttura del libro) dell’Io spirituale, si entra nella parte dedicata alla comprensione dell’Io spirituale e all’indirizzo teorico-pratico atto a facilitare il suo incontro. Un capitolo viene così dedicato a Le condizioni favorevoli all’ascolto (pp. 90-99), tra cui Rotondi inserisce le attività creative e il silenzio (condizione di forte valore intellettuale-spirituale per il filosofo, come attesta il già citato L’arte del silenzio e l’uso della parola) e ai sistemi di contatto con la voce, che nel nono capitolo l’autore profila distinguendo tra voci che arrivano «1. Dal nostro mondo interiore […] 2. Dalla mente di altri esseri viventi […] 3. Da altri piani di vita» (p. 100). Largo spazio viene infatti dato alla telepatia, vista come testimonianza del fatto che «Il pensiero si comunica ed echeggia. Le emanazioni obbediscono al principio di espansione e collegano l’universo in ogni sua parte» (p. 109).

Erminio - ⛪⛪⛪ OGGI SI FESTEGGIA LA MADONNA AVVOCATA NOSTRA ⛪⛪⛪ Inizio del  prodigioso movimento degli occhi della Madonna Avvocata Nostra a Vicovaro  in provincia di Roma. La bellissima immagine della VergineAl di là della dimensione pratica, comunque, cui pure Rotondi dà importante spazio in molti suoi testi, questa Seconda parte riafferma alcune dicotomie tipiche del pensiero rotondiano; ad esempio il fatto che la manifestazione della voce misteriosa genera una distinzione tra Chi ode e chi no (pp. 75-89), determinata dal modo e dall’intensità con cui gli strumenti ulteriori rispetto a «l’orecchio e il cervello» del «sentire ordinario» (p. 79), come La ghiandola pineale e il terzo orecchio (p. 83) o Il senso psichico, ovvero il sesto senso, siano attivi nell’individuo. È davvero interessante, poi, soprattutto per una lettura “local based” dell’autore, vedere come a supporto di questa distinzione Rotondi citi un episodio centrale della mitologia vicovarese, ovvero quello in cui, nel 1931, il quadro di Maria Avvocata Nostra del Tempietto di San Giacomo mosse gli occhi e si impresse nella memoria collettiva del paese (rimando a questo precedente articolo per un approfondimento). In Vicovaro sacra, lo storico dell’arte Alberto Crielesi fornisce un’interessante interpretazione antropologica dei miracoli mariani, sottolineandone la concomitanza con momenti di crisi dell’autorità ecclesiastica. Per seguire Rotondi, invece, dobbiamo necessariamente sospendere il giudizio realista – ma lo scopo di questi studi, è bene ricordarlo, è quello di esplorare e divulgare l’articolazione del suo pensiero, non certo quello di convincere ad aderirvi. Anche alla luce di ciò, di conseguenza, non possiamo che apprezzare, soprattutto se vicovaresi, il ricordo commosso del filosofo che racconta, a più di cinquant’anni di distanza, l’emozione di aver assistito in prima persona al «prodigioso movimento degli occhi» (p. 76).

Accanto alla distinzione individuale, poi, se ne colloca una più generale, e in certo senso ontologica: la netta separazione tra sensi fisici e sensi psichici, e quindi tra le due diverse realtà a cui questi permettono di accedere. Possiamo dire che tutto il discorso di Rotondi è montato su un’idea in qualche modo platonica della realtà, in cui «il mondo materiale dei sensi» (p. 67) rappresenta solo una parte dell’esistente, che si estende invece oltre quello e che mette in qualche modo alla prova gli esseri umani nella loro capacità intellettuale e morale. Il senso della vita umana (su cui Rotondi tornerà più precisamente in libri successivi) sta tutto nello sforzo di superare la costrizione dei sensi. Un salto che si compie, in qualche modo, dentro e fuori l’individuo – e l’Io spirituale, di questo salto, rappresenta il punto d’appoggio, funzionando come dimensione tramite cui si arriva a comprendere più profondamente il mondo e il proprio sé. Quel sé che alla fine, secondo Rotondi, coincide con un «Io divino, dove la luce è solare, pura, non filtrata dalle nebbie e dagli strati densi» (p. 125).