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Sogni, talenti, pandemie nell’ultimo libro di Giusi Martinelli

Tivoli – Risale alla scorsa estate la pubblicazione dell’ultima fatica letteraria di Giusi Martinelli, scrittrice, attrice e regista teatrale, che da anni si è consolidata come figura significativa all’interno del paesaggio culturale della Val d’Aniene.

Il libro, intitolato Sogni e talenti, è per diversi aspetti figlio della pandemia; ce lo segnala già il sottotitolo: «con la partecipazione straordinaria di coronavirus». Come spiega la stessa Martinelli nella Nota dell’autrice e nell’Introduzione, il materiale necessario alla stesura dell’opera è stato in realtà raccolto in un lavoro protratto per molti anni, ma è stato l’avvento della pandemia, in qualche modo, a segnarlo; tanto dal punto di vista di “occasione” (nuovo tempo a disposizione, ad esempio, per portare a termine il percorso iniziato), quanto dal punto di vista tematico: «La “pandemia” – si legge a p. 4 – è subentrata a lavori iniziati e mi ha instradato verso due periodi storici: il Medioevo ed il lasso di tempo, grosso modo, fra il 1850 ed il 1930 durante i quali si sono sviluppate due fra le più terribili pandemie».

Si tratta, insomma, di un libro che dentro e fuori la pagina dialoga col mondo esterno e col tempo presente – quello, appunto, dell’annus horribilis 2020. Organizzato seguendo tre sogni che scandiscono altrettante sezioni, l’opera raccoglie le storie di talenti femminili del più svariato genere – pittrici, scrittrici, ballerine, attrici… – più o meno note (tra le “star” anche Virginia Woolf , Mary Shelley, Eleonora Duse), accomunate però da vicende che portano spesso la brillantezza del loro genio a contrastare con una condizione sociale, economica o generalmente umana mortificata proprio dal loro essere donne – ovvero da un orizzonte storico incapace di accogliere genuinamente il loro talento. Sono percorsi di vita, infatti, quasi sempre complicati (si pensi a quello di Sibilla Aleramo), spesso con tragico epilogo (non poche, tra queste donne, impazzite o fatte impazzire a forza, hanno chiuso la loro esistenza in manicomio, come Seraphine de Senlis, Camille Claudel e Nori de Nobili).

Aspetto interessante è poi che la preziosa e grande quantità di materiali raccolta da Martinelli venga sistemata non secondo la tecnica dello schedario, ma amalgamando le storie in un flusso omogeneo (e tripartito, come visto sopra). Seguendo un’impostazione che ricorda certe strutture medievali (e il Medioevo è praticamente il fulcro del secondo sogno, patria temporale di Hildegard von Bingen, figura verso cui l’attrice presta particolare attenzione), ovvero quei testi come ad esempio l’Amorosa visione di Boccaccio (del resto modello, col suo Decameron, della struttura a giornate del primo sogno) e i Trionfi di Petrarca incentrati sul viaggio che un personaggio compie nel sogno, incontrando creature o figure emblematiche. Un viaggio, insomma, che è gnoseologico e formativo proprio in quanto onirico e allegorico.

L’autrice-personaggio entra così in dialogo con i talenti femminili della raccolta, li porta, talvolta integrando le notizie, a raccontare le loro storie, con un impianto che rivela anche l’origine teatrale di Martinelli, vista la rilevanza data al dialogo tra la scena principale e gli a parte (introdotti con le parentesi), tra il gesto e la parola.

E la “formazione”, la presa di coscienza che si trova alla fine di questo viaggio coincide con la “scoperta” della natura di attesa della condizione femminile, un’attesa secolarmente logorante («La donna […] interdetta storicamente dal potere decisionale […] ha sempre dovuto attendere le decisioni di altri») e un’attesa riconfermata dallo strano tempo della pandemia.

Sogni e talenti non è allora solo una raccolta di storie femminili brillanti – pure, in ciò, preziosissima, specie per la riscoperta di figure a rischio oblio – ma è anche un manifesto rivendicante («Oggi le donne restano in attesa di occupazione, di spazi di crescita professionale, ruoli di livello e decisionali nell’imprenditoria, nella politica, nella scienza») e dunque un testo in grado di comunicare col presente più vicino, ma senza per questo obbedire al taglio cronachistico, bensì affermando il potere dell’onirico: viaggio e scoperta fuori dal reale, al servizio del reale.