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Cultura a Carsoli, presentato il progetto “Cippi antichi confini”

Carsoli – Si è svolta nel pomeriggio odierno una interessante presentazione ufficiale del progetto “Cippi Antichi Confini” presso la Sala Consiliare del Comune di Carsoli. E’ stata una occasione per spiegare i dettagli di una iniziativa che va avanti ormai da tempo e che con la ripartenza sta riprendendo vigore.

Storia, cultura, conoscenza dei territori, Franco De Angelis curatore del progetto di base ne ha spiegato ed illustrato le caratteristiche e le finalità.

Il sindaco Velia Nazzarro, ha rivolto a tutti i convenuti autorevoli e qualificati, il benvenuto della città assicurando tutto l’interesse e la partecipazione del comune di Carsoli in questo percorso, approvato in giunta comunale lo scorso 24 Maggio.  Molti sono i fatti della storia che caratterizzano peraltro queste zone di confine tra Lazio e Abruzzo, un tempo zone di confine tra Stato Pontificio e Regno delle Due Sicilie. Presente all’evento anche il sindaco di Sante Marie Lorenzo Berardinetti. 

Lo scopo del progetto è quello di sviluppare un turismo compatibile con la cultura e la storia dei confini del Regno di Sicilia prima e del Regno delle Due Sicilie poi, ma anche quello di riportare alla luce tutti quei cippi di confine e renderli fruibili per momenti di cultura, dimo- strando così che i confini del Regno erano ben definiti e individuabili.

Recuperare un percorso di 470 KM che segue l’antico confine fra il regno delle due Sicilie e lo stato Pontificio per portare turismo nelle aree interne e nei piccoli borghi.

 

 

LA STORIA

A partire dal dodicesimo secolo i suddetti confini rimasero pressoché gli stessi per otto secoli, fino al 1860 e all’unità d’Italia. Essi andavano dal Tirreno (Terracina, l’antica “Tarrakina” etrusca o “Terra-cena” di origine greco-spartana) all’Adriatico (Martinsicuro, la “Truetinum” fondata dai Liburni e citata da Plinio il Vecchio). In queste due località avevano sede le dogane, poste, rispettivamente, ad occidente e ad oriente dei limiti settentrionali del Regno. A tale scopo giova ricordare la storia dei confini e dei regnanti.

Nella notte di Natale del 1130, con una fastosa cerimonia Re Ruggero II sancì a Palermo la nascita del Regno di Sicilia. Quel 25 dicembre fu una data simbolica: Ruggero II si presentava, infatti, come il redentore di tutte le popolazioni del Sud della penisola, dagli Arabi ai Bizantini ai Longobardi, e nello stesso tempo annunciava al mon- do la nascita di un Regno cristiano. Tutto il Sud fu unificato in una nazione indipendente che aveva come capitale Palermo.

I confini geografici e politici, nonostante gli avvicendamenti di regnanti e casati europei, rimasero più o meno gli stessi per 731 anni, fino alla caduta della fortezza di Civitella Del Tronto alle ore 11,00 del 20.03.1861; quando, in seguito all’”invasione” piemontese, le popolazioni duo siciliane perdettero la propria identità nazionale a causa della forzata unione con gli altri popoli della penisola italiana. Il Regno normanno durò fino al 1194. Poi vi fu quello degli Svevi, di cui il più illustre rappresentante fu Federico II. Con l’avvento degli Angioini nel 1266 la capitale del Regno di Sicilia fu portata a Napoli. A seguito dei “vespri siciliani” del 1282 la Sicilia fu occupata dagli Aragonesi e divenne Regno di Trinacria. Nel 1443 gli Angioini dovettero cedere agli Aragonesi anche la parte continentale del Regno: le Due Sicilie furono riunite con Alfonso il Magnanimo (Regnum utriusque Siciliae). Nel 1503 il Regno fu annesso alla Spagna, come vicereame autonomo; stessa cosa avvenne nel breve periodo austriaco, che va dal 1707 al 1734, anno in cui tutto il Regno diventò nuovamente indipendente con i Borbone. In questa breve sintesi abbiamo tralasciato i pur importanti avvenimenti del periodo relativo ai primi Borbone: Carlo, Ferdinando I e Francesco I. Ricordiamo comunque che nel 1815 Ferdinando I unificò il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia in un unico Stato, che fu chiamato Regno delle Due Sicilie.

 

Il Regno delle Due Sicilie presentava un confine che lo separava, a nord, dai tanti piccoli statarelli o ducati, sempre in guerra fra loro e pronti ad invadere i possedimenti altrui. La prosperità del Regno era conosciuta anche oltre i suoi confini, e molti erano coloro che, provenienti dal nord, lasciavano tutto e vi si insediavano. Tuttavia, non esisteva un vero e proprio confine presidiato e delimitato, anche cartograficamente, del Regno. Le dispute territoriali lungo l’allora con- fine, spesso ballerino, portarono alla decisione di definire nettamente ed inequivocabilmente detto confine, perché la grande estensione del Regno portava continuamente a dispute e controversie su quali fossero i limiti e le proprietà del reame.

Fu così che il 26 settembre del 1840 venne sottoscritto a Roma un trattato per poter stabilire il vero confine; si pensò quindi di installare, lungo tutto il confine, dei “termini” in granito, alti più o meno un metro, aventi una circonferenza di 35-40 centimetri e definiti “cippi”. Il loro numero complessivo risultò essere di 686, ma la numerazione cronologica iniziava con il n. 1 e finiva con il n. 649, in quanto molti dei cippi venivano identificati con lo stesso numero e per differenziarli veniva aggiunta una lettera al fianco del numero. Il numero 1 venne dato al cippo posto presso la foce del fiume Canneto (tra Fondi e Terracina) mentre l’ultimo termine venne contrassegnato con il numero 649 e posto quasi alla foce del fiume Tronto, nelle immediate vicinanze del ponte tra Porto D’Ascoli (Marche) e Martinsicuro (Abruzzo).

Sotto ogni cippo veniva sotterrato un medaglione, ove vi erano incisi gli stemmi dei due Stati. La posa dei cippi di confine iniziò dal Mar Tirreno, nel 1846, ed ebbe termine nel 1847, avendo cura di volgere lo stemma dello Stato Pontificio in maniera che guardasse in direzione “del Cupolone”. Sulla sommità di ogni cippo veniva incisa una linea che indicava la direzione del confine e la posizione del cippo precedente e di quello successivo.

I Cippi venivano ricavati da grosse rocce di granito, proprie del territorio o estratte da cave di pietra, grazie al lavoro di scalpellini, e poi venivano trasportati a spalla da numerosi uomini sul luogo di apposizione. La loro distanza non era assolutamente matematica: nei luoghi più disagiati o intransitabili venivano posizionate a distanze superiori, mentre in luoghi regolari e comodi erano molto più vicini. A seguito della proclamazione dell’unità d’Italia, quasi tutti i Cippi, onde poter recuperare i medaglioni, furono divelti e lasciati cadere più in basso, oppure asportati per fare bella mostra nelle ricche case dei signorotti o davanti alle chiese. Sono pochi quelli rimasti nel luogo originario.