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Agosta, la storia della sorgente dell’Imperatore Ottaviano Augusto

AGOSTA – Il paese è situato nell’alta valle dell’Aniene, su un costone di roccia calcarea alle falde occidentali dei monti Simbruini. Si raggiunge dalla via Sublacense facendo una deviazione di circa settecento metri. Il nome gli deriva da una sorgente, l’Acqua Augusta, cosiddetta in onore dell’imperatore Ottaviano Augusto, che la fece incanalare nell’acquedotto Marcio (Il a.C.). Il toponimo ha subito nei secoli varie trasformazioni: Augusta, Agusta, Austa, Lausta e Hausta; quest’ultimo secondo alcuni deriva da aqua hausta: acqua bevuta. La stessa acqua che scorre oggi ai piedi del castello con il nome di “acqua serena”. È certo comunque che, in documenti datati al 594, il luogo è ricordato come Acqua Augusta appartenente al Monastero di Subiaco.

In atti successivi, mentre si trova confermato il possesso del luogo al monastero, risulta l’esistenza di un centro abitato che fu poi trasferito sul colle dove, tra il X e l’XI secolo, venne edificato un castellum in posizione fortificata. Ma gli insediamenti abitativi della zona sono ben più antichi. I primi a popolarla furono gli italici, di cui sono state rinvenute tracce consistenti in recinti di pietra e massi lavorati in tre differenti siti; poi i latini, che si fermarono nella valle dell’Aniene a partire dal Mille a.C. fino all’arrivo del popolo degli equi, gli aeterni hostes dei romani, come li definisce Tito Livio. All’inizio del IV secolo a.C. gli equi furono definitivamente soggiogati dai romani, i quali, nel lungo periodo della Repubblica, dettero mano alla costruzione dei grandiosi acquedotti per convogliare le acque dell’Aniene verso Roma, sempre più bisognosa di rifornimenti idrici. Il primo acquedotto fu quello detto dell’Anio vetus, dell’Aniene Vecchio, iniziato nel 272 a.C., con il quale tuttavia non si risolse il problema dell’approvvigionamento dell’Urbe. Nel 144 a.C. il pretore Quinto Marcio Re fu incaricato della costruzione di una colossale opera idrica, un acquedotto nuovo, che aveva origine nel territorio tra Agosta e Marano Equo. L’effetto immediato, conseguente ai grandi lavori di edificazione, fu un massiccio popolamento della zona. Si ebbero così i primi stanziamenti degli addetti ai lavori, operai e maestranze, che per lo più provenivano da Roma o dagli immediati dintorni, i quali fondarono villaggi tra cui sicuramente quello che doveva dar origine alla futura Agosta. Gli stanziamenti, da un punto di vista edilizio dovevano essere modesti, poiché le tracce di costruzioni di epoca romana nel territorio di Agosta non sono numerose: alcuni muri di fondazione, alcune tombe coperte da tegoloni in terracotta e poco altro. Il reperto più importante è una lapide inclusa nel Corpus insriptionum latinarum, che riporta una iscrizione votiva.

Alle sorgenti dell’Aniene, sulle rive del laghetto di Agosta, fin dai tempi dei romani, passarono e sostarono eminenti personaggi. Racconta Tacito che Nerone, il quale, come si sa, si era fatto costruire una sontuosa villa a Subiaco, durante uno dei suoi spostamenti verso Roma, fu preso dal desiderio di tuffarsi in uno dei laghetti delle sorgenti che alimentavano l’acquedotto dell’acqua Marcia: “Sembrava che avesse profanato quelle sacre acque – scrive indignato lo storico e la malferma salute che ne seguì confermò l’ira degli dei”. Visitarono dunque questi luoghi, oltre lo stesso Nerone, Plinio il Vecchio, Traiano e Frontino e, quattro secoli più tardi, sicuramente anche San Benedetto. Durante i secoli bui che seguirono alla caduta dell’impero romano, tutti i piccoli centri della valle dell’Aniene subirono devastazioni e saccheggi. Passarono sul territorio prima i longobardi, poi ad ondate successive, i saraceni che distrussero anche i monasteri sublacensi, con conseguente dispersione della comunità monastica. In seguito gli abitanti della zona scelsero, per la ricostruzione delle loro comunità, luoghi meno accessibili. Parte di coloro che avevano abitato e lavorato alle sorgenti si ritirò sul monte Augusta. I grandi acquedotti dell’Aniene rimasero a lungo abbandonati, poiché nessuno ne curava la manutenzione e cessarono per un lungo periodo la loro funzione nei riguardi di Roma e dei suoi dintorni.

La fortezza di Agosta

L’incastellamento di Agosta avvenne contemporaneamente a quello di tutti gli altri centri circostanti che dipendevano dal Monastero di Subiaco. Nel privilegium di Papa Leone IX, datato 1° ottobre 1051, Augusta risulta già edificata come fortezza. L’accesso alla fortezza per gli assalitori era quasi impossibile, a meno che qualcuno degli abitanti non consegnasse nascostamente le chiavi di una delle due porte. A questo proposito è rimasto celebre nella storia del paese un processo intentato dal Monastero di Subiaco, intorno alla fine del Trecento, contro due agostani, Cicco e Cola, reggenti del Castello di Agosta per conto dell’abate sublacense. Questi furono accusati di aver consegnato le chiavi delle porte all’assalitore Nicola Colonna, “scismatico ribelle di Santa Madre Chiesa”, che ebbe così la i possibilità di penetrare con le sue truppe nella fortezza, mettendo tutto a ferro e fuoco e causando danni per tremila fiorini d’oro. Cicco e Cola per quanto si dichiarassero innocenti furono condannati a morte; in seguito ad un processo d’appello, la condanna si tramutò in confisca totale dei beni. Sia prima che dopo l’incastellamento di Agosta, ben sette pontefici passarono sulle rive del laghetto dell’acqua Augusta: Leone IV, Giovanni XII, Pasquale II, Innocenzo III, Gregorio IX, Alessandro IV, e infine nel 1461 Pio II. A quest’ultimo è legata la prima sagra delle trote della storia poiché la leggenda vuole che, invitato alla sosta dall’abate Giovanni Torquemada, gli fossero offerte, per il pranzo, le trote pescate per lui dai fedeli accorsi a vederlo. Nei tempi che seguirono, Agosta fu coinvolta nei contrasti durissimi tra l’Abbazia di Subiaco e il papato. Né fu risparmiata dalla piaga della peste al tempo del sacco di Roma (1527). Dopo una lunga serie di vicissitudini legate al monastero sublacense, passò dai Colonna ai Borghese che la possedettero fino al 1633, quando venne, insieme agli altri beni del monastero, nelle mani dei Barberini, ai quali rimase fino al 1738. In quell’anno cessò la consuetudine di affidare ad una famiglia “papale” e ai suoi eredi, la commenda di Subiaco. Tra gli abati vi fu Giovannangelo Braschi, futuro Pio VI, il quale conosceva bene Agosta per averla visitata nel 1773 da Cardinale. Da Papa, con atto di grande liberalità affrancò quella comunità, che allora si dibatteva in difficoltà economiche, dalle spese per la costruzione del primo ponte in muratura sull’Aniene. Nel 1870 il territorio sublacense fu annesso allo Stato italiano. Intorno al 1900 arrivava ad Agosta la ferrovia a scartamento ridotto della linea Mandela-Subiaco, con tracciato lungo ventitre chilometri che ancora oggi, per quanto sia stato sostituito da un servizio di pullman, si può osservare, benché fuori uso e fatiscente. Nel 1940 il paese, a seguito dello scoppio della seconda guerra mondiale, si riempì di sfollati provenienti dalla capitale. Anche Agosta ebbe i suoi martiri in questo terribile conflitto: il 26 maggio del 1944 i tedeschi trucidarono nei pressi della località detta Madonna della Pace, per rappresaglia, 15 persone tra le quali cinque agostani. Venti giorni dopo la zona veniva liberata dalle truppe alleate.

Il nucleo storico

La testimonianza del suo interessante passato, nella cittadina si possono osservare: i resti del Castello e del borgo medioevale che erano cinti da mura merlate e dotati di due porte: una ad ovest e l’altra a nord-est (oggi Porta di Santa Maria). All’interno della cinta muraria rimane il nucleo centrale di un Palazzo a pianta irregolare, considerato la più antica costruzione del luogo. Agosta, inoltre, vanta la bella parrocchiale di Santa Maria che, edificata nel 1700 su di un precedente tempio cimiteriale, si presenta oggi come una struttura di tipo neoclassico con ampie e luminose navate. Ai piedi del Castello di Agosta, in località Fonte, sorge la chiesetta della Madonna del Passo, venerata dagli agostani dal 1615, quando la miracolosa immagine della Madonna, che vi era custodita, prodigiosamente liberò dal demonio una contadina che non riusciva a camminare: da qui, sembra tragga origine il nome “Madonna del Passo”.