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Torna il segno della pace a messa: basterà solo guardarsi negli occhi

A stabilirlo è la Cei: "inopportuno anche il toccarsi con i gomiti"

L’Aquila. La pandemia ha portato numerosi cambiamenti nella vita di tutti i giorni, e anche un’istituzione granitica come la Chiesa è stata costretta a fare i conti con essa e a modificare la prassi della sua liturgia. Non più strette di mano, ma uno sguardo o un inchino del capo sostituiranno lo scambio della pace durante le funzioni. A stabilirlo è stato il Consiglio Episcopale Permanente, riunitosi in videoconferenza il 26 gennaio 2021, sotto la guida del Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

Il comunicato finale, infatti, sottolinea che i vescovi hanno deciso di “ripristinare, a partire da Domenica 14 febbraio, un gesto con il quale ci si scambia il dono della pace, invocato da Dio durante la celebrazione eucaristica”. Escluso quindi il toccarsi con i gomiti, considerato dal Consiglio dei vescovi come “inopportuno”. “In questo tempo”, dice il comunicato, “può essere sufficiente e più significativo guardarsi negli occhi e augurarsi il dono della pace, accompagnandolo con un semplice inchino del capo”.

Dunque anche uno sguardo o un segno del capo, secondo i Vescovi riuniti, può “esprimere in modo eloquente, sicuro e sensibile, la ricerca del volto dell’altro, per accogliere e scambiare il dono della pace, fondamento di ogni fraternità”. “Là dove necessario”, aggiungono poi, “si potrà ribadire che non è possibile darsi la mano e che il guardarsi e prendere “contatto visivo” con il proprio vicino, augurando: «La pace sia con te», può essere un modo sobrio ed efficace per recuperare un gesto rituale”.

Una sostituzione che punta a recuperare la completezza della ritualità delle celebrazioni e aiuta a far sentire ai fedeli nuovamente il senso di comunione e solidarietà in un momento storico particolarmente delicato e pieno di incertezze, il tutto nel rispetto per le precauzioni anti-contagio. Infatti, a fare da sfondo a tutti i lavori del Consiglio c’è stato in particolare la “preoccupazione per la tenuta del Paese” in un periodo segnato non solo dall’emergenza sanitaria ma anche dalle sue drammatiche conseguenze sul piano sociale. Le varie problematiche a livello sanitario, sociale ed educativo, infatti, sono stati il vero perno delle riflessioni dei vescovi e hanno mosso il Concilio nel pronunciare questa sentenza.

“In questa fase delicata”, dice il comunicato finale, “è emersa l’urgenza di un’opera di riconciliazione che sappia sanare le diverse fratture che la pandemia ha provocato sul territorio nazionale, andando ad “aggredire” tutte le fasce della popolazione, in particolare i più vulnerabili e gli ultimi”. Una fase in cui non ci si può chiudere “nell’autoreferenzialità” e in cui c’è bisogno di volgere lo sguardo alle fasce più povere della popolazione non lasciando indietro nessuno. “La paura non deve infatti farci rinchiudere in noi stessi né impedirci di tendere la mano al prossimo se si vuole costruire una società più equa e più solidale”, così viene sentenziato nel comunicato.

Dal punto di vista sanitario, i Vescovi hanno sottolineato “l’importanza della vaccinazione, intesa come gesto di amore per sé e per gli altri ma anche come atto di fiducia nella ricostruzione” dal punto di vista sociale hanno sottolineato soprattutto l’importanza della crisi demografica, dell’emergere di nuove povertà, del disagio e della solitudine e di tutte le altre difficoltà che stanno sorgendo in seguito alla pandemia e che possono “sfilacciare ancora di più il tessuto comunitario già lacerato dalla crisi”.

È stato lanciato anche un’allarme per l’emergenza educativa, definita come una “sfida cruciale che va affrontata insieme alle varie parti sociali” invitando a “moltiplicare gli sforzi” nell’impegno educativo nei confronti delle nuove generazioni e “per ricostruire al più presto condizioni e contesti che permettano esperienze formative integrali”. “Le nuove tecnologie”, ha sottolineato il Consiglio, “sono di grande aiuto per tenere i contatti e per svolgere attività, ma non possono sostituire la ricchezza dell’incontro personale, della presenza. Aumentano le difficoltà dei bambini e soprattutto degli adolescenti, a cui va riconosciuto di avere vissuto, nella maggioranza dei casi, questi mesi con grande responsabilità e senso civico. Non si può tuttavia nascondere che sembrano crescere l’insofferenza dei giovani e la preoccupazione delle famiglie”.