The news is by your side.

Ritratto di Marco De Simone, poeta di Vicovaro

Vicovaro – C’è una regola introiettata, secondo cui se la scrittura non è pubblicata allora non esiste. Nella pratica, invece, una quantità immane di scritture non accede – per vari motivi – allo spazio della pubblicazione, ma nonostante questo copre uno spazio della vita, indaga, cresce. Così è per molte scritture cosiddette locali, che magari non raggiungono la forma-libro perché peregrine, spontanee, disinteressate, alla fine, di esistere al di fuori di un mondo in cui sono contestualizzate e che di fatto ci permettono (solo loro) di comprenderlo. Perché situate, appunto, partorite e folgorate da quel posto.

Questo è il caso della scrittura di Marco De Simone, poeta vicovarese, autore di una vasta produzione in versi che non ha ancora raggiunto la carta e che però risulta interessante proprio nella sua natura liminale, fuori dal giro. Per quanto nei testi di De Simone si rintraccino alcune forme un po’ automatiche e auto-previste tipiche delle esperienze letterarie spontanee, la sua attività è secondo me interessante per più motivi. In primis, proprio il fatto che casi come quello di De Simone vadano approcciati con l’ottica di muoversi nel perimetro della letteratura, che se da una parte cede ad alcune ingenuità dall’altra acquista in specificazione dell’esperienza, che è quella – in questo ma anche in molti altri casi – del paese. E infatti la scrittura di De Simone è pienamente coinvolta nella realtà socio-simbolica del paese; non solo nella forma esplicita della scrittura in dialetto, ma anche e più profondamente in un’atmosfera malinconica, in un posizionamento laterale, che attraversa gran parte della sua produzione (per altri aspetti aperta invece a modalità sarcastiche e stornellare).

Quando De Simone opta per il dialetto, quindi, imbocca spesso una strada che pensa la lingua locale come lingua comica, nel senso proprio e dantesco di lingua media, che parla del quotidiano, quindi lo deride, abbraccia e denuncia insieme facendo leva sull’immaginario e il vissuto di una piccola comunità (come dimostra il capovolgimento parodico e attualizzante del detto “Vicuaru ju paese ‘elle streghe” in Vicuaru ju paese ‘elle machine). Ma l’aspetto più interessante è rintracciare la condizione di marginalità tipicamente paesana nei testi in italiano, dove è celata e perciò più profonda. È il caso, ad esempio, di Cedi il posto, tra le poesie più riuscite di De Simone, in cui la metafora del treno-vita permette l’espressione di inappartenenza, di tempo scaduto, di regressione che è senza dubbio una visione influenzata dalla condizione paesana, storicamente ed esistenzialmente remissiva (ma potente in tale remissione).

Marco De Simone, insomma, si offre come esemplare interessante di una poesia vissuta fuori dal sistema istituzionalizzato, a cui si accede mettendo da parte le attese intellettualistiche e da cui si riceve, però, una condizione di reale assunzione della scrittura come emancipazione, o almeno racconto, di una “solitudine collettiva”, paradosso in cui cade pienamente il mondo paesano. Ne diamo qualche assaggio qui sotto.

 

 

*

 

Cedi il posto

Niente da aggiungere
ma tutto da togliere
a questo mondo infetto;
come un treno, viaggia la vita
tu, cedi il posto.
Si cresce in fretta, oramai
uomini senza vent’anni,
fanciulle che
forme e desideri, mutano
tu, cedi il posto.
Il convoglio della vita
sosta nei propositi
arrivando
al capolinea aspirazione;
c’è spazio per tutti
tu, cedi il posto.
No, non devi scendere
forse, liberarti sì,
il tempo stringe, sai
tu, cedi il posto.
Cedi il posto alla follia,
fai spazio all’allegria,
lascia che al tuo fianco
sieda la gentilezza;
non occupare mai
il posto dell’insolenza,
né della rabbia o amarezza.
Un percorso lungo o corto
non è dato sapersi;
l’importante è non cadere
tu, cedi il posto.
Abbiam occhi, mente e cuore
da non chiudere mai;
fuori dalla porta dell’esistenza
lascia il tuo mondo di guai;
e mentre, incessantemente corre
tu, cedi il tuo posto.
Cedi il posto
alla arguzia, alla luce dell’anima
fai spazio alla lealtà,
lascia che al tuo fianco
sieda la serenità;
non occupare mai
il posto della violenza,
né della vendetta o viltà.
Cedi il posto,
cedi quel maledetto posto,
che un trono mai sarà.
L’importante è non cadere,
non devi scendere
forse, liberarti sì,
il tempo stringe, sai…
tu, cedi il tuo posto.

 

*

 

Il cielo dentro

Capir non potrò mai
il volo senza ritorno,
quel divin capriccio
che sotterra e t’atterra
al grido di vendetta.
Ero lì, con tesa mano
guardinga, lesto
a rubar folgori vitali
contro la cara amata;
vane e laceranti furono
le scorciatoie
per la longevità,
e non rimase
che guardar stelle
di nero, dipinte.
I bagliori più luminosi
restano intimi,
ed io, fissandoli
mi c’immergo;
celo il cielo dentro,
lo stesso che cela te.

*

 

Vicuaru ju paese ‘elle machine

A Vicuaru nun ce stau più ji streuni
peró so remaste ‘e rotture ‘e cujuni,
quanno a péi a da camminà
non sa ando cacchio a da passà.
Quanno resci pella via
incuntri più machine che cristiani,
parcheggiate a sgaizzo
o che te sfioro le chiappe,
sfreccenno come stessero aju gran premio.
Se vó passeggià ‘n piazza
a da sperà che nun stau ‘n doppia fila
che se restregne lo largo
E ttettocca a statte firmo da ‘na parte
a remmiratte come se vau ‘ncastrenno.
Se parti da via San Vito
pé arrivà a via Roma, ce mitti ‘n’ora a pèi
e tre co j’apparecchio,
soprattutto pè portà o repijà le creature a scola.
A via Santa Maria aprite celo
Tra farmacia, pabbe e vasi vari
manco coji trampoli ce passi.
Nun è che tenemo tanti posti pé parcheggià,
peró c’ avemo tante machine pè scorazzà,
sucì, daje oggi, daje addimà,
smog e ‘ncazzature, c ‘emo da pijà.

 

*

Tra i denti il re

Un passetto calmo e pungente
per il piccolo pedone,
Balzi grandi e devastanti
del cavallo gran  burlone.
Come un missile puntato
c’è  l’alfiere posizionato,
pronto sempre allo scontro duro
prova e scardina il tuo muro.
Muro protetto dalle torri,
quindi colpisce e poi corre,
Che se arriva la regina
l’ora fatale si avvicina.
La Regina muove in ogni direzione,
alla conquista del rivale regno,
ovunque colpisce con precisione
lascia marcato il suo segno.
Da salvare ad ogni costo
c’è il re e il suo castello,
con i colpi e senza guerra
mai finisca giù a terra.

 

*

 

 

Se mi ami davvero
lascia ch’io per te viva
gettando la tua gelosia
nel fiume del rispetto;
non soffocarmi d’odio
ma abbraccia la libertà.
Se mi ami davvero
carezzami e baciami,
sorprendimi ogni istante, e
sognandomi tua regina
coccola il nostro regno.
D’amor non posso morire
per un capriccio infante,
poiché la mia vita
non è il tuo giocattolo;
se mi ami davvero
lascia la violenza
ed afferra le nostre vite.