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Rime & Mercati. Sui libri di Antonio Semproni

Tivoli – Umorismo ed economia politica. Sembrano essere questi gli assi su cui ruota la produzione poetica di Antonio Semproni (Tivoli, 1988), almeno per quanto riguarda i suoi primi due libri: Rime in prima copia (uscito nel 2020 per Controluna) e Mercati & Mercati (edito invece nel 2022 da Transeuropa). E sono assi che si rafforzano a vicenda, facendo dello spazio-poesia un luogo di sperimentazione delle forme, ma anche di verifica dello stato umano, soprattutto per quanto riguarda la sua tenuta sociale e (conseguentemente) esistenziale.

Il taglio umoristico riguarda soprattutto il primo libro. Rime in prima copia ha infatti tra gli obiettivi anche la fabbricazione un teatro dell’assurdo, potremmo dire, che è però anche la farsa in cui l’esistenza (materiale, effettiva) si realizza. Così il surreale e l’inatteso entrano nel tessuto delle poesie per mostrare dissociazioni e sfasature che sono concrete, storicamente tangibili: «L’anima è un fantasma, inquilino del mio corpo» (e cioè la sfasatura è interna all’individuo), «domani scoppierà la guerra / ma io non farò niente» (e cioè la sfasatura è anche sociale, tra individuo e azione del mondo, persona e gruppo). L’inazione (o, meglio, l’incapacità di agire) è del resto il termometro di una fase storica, la condizione di partecipazione potenziale e insieme estromissione reale cui è messo l’individuo del terzo millennio, consapevole (almeno in parte) delle storture della storia, eppure impotente, esitante («io indugio, come avessi qualcosa da domandare») perché, in fin dei conti, alienato nel lavoro («gli uomini misurano ad ore il proprio guadagno»).

Si capisce quindi come dietro l’ironia, il surrealismo e il piglio disinvolto di Semproni si celi in realtà l’amarezza nei confronti del presente; ed è del resto la prima poesia del libro, Intro, a chiarire l’ambiguità (sic!) cui la stessa parola «umori» è sottoposta, visto che chiama da una parte l’umorismo, dall’altra un liquido corporeo, cioè, metaforicamente, la sostanza esistenziale di ognuno: «Caro lettore della mia opera prima / questa raccolta riuscita in rima / è fatta con umori raccolti in cantina / […] tu li mescoli con il whisky / così gli umori miei ai tuoi mischi». In questa direzione va inteso quindi l’utilizzo massiccio (totale: vale per tutti testi) della rima baciata: l’effetto è cantilenante, giocoso, ma anche ipnotico, e il lettore si trova prima attratto dallo schema memorizzabile, poi invischiato in una melma da cui è difficile uscire, e che è la realtà alienata.

Mercati & Mercati prosegue sulla scia di questo impianto, tra serio e faceto, tra maschera ironica e rivelazione, abbandonando però l’espediente della rima baciata, ed evitando così il rischio claustrofobico in cui forse cadeva il libro precedente. Mercati & Mercati è perciò un lavoro più maturo, liberato anche nella forma dei versi, che possono darsi come tasselli ridotti al minimo o stringhe più estese (a volte combinandosi, con effetto ondulatorio: «È salito sull’autobus e ha mostrato al controllore / i polsi / gli incavi dei gomiti / le ascelle / i linfonodi sono a posto»), ma mostrandosi – in ogni caso – come strumenti di attestazione di uno stato, di un tema: Call center, Cameriera, Segretaria, Assunzione, Smart working, sono esempi che, anche se ridotti al titolo, mostrano facilmente come la scrittura di Semproni sia nucleare, incentrata su una situazione o un ritratto, da cui emerge di solito una contraddizione, una sospensione irrisolta.

Anche in questo caso i meccanismi ironici (e soprattutto i calembour) possono quindi fare da amplificatori del contrasto: «A forza di stringere la cinghia / non si stupisce / di trovarsela al collo», «Qualcuno di voi ha mai visto una bolla finanziaria? / probabilmente deve essere invisibile come / la zanzara che l’ha provocata». Ma dietro il gioco c’è il trauma, e anzi proprio il rituale scanzonato del gioco pare essere la schermatura necessaria all’emersione del problema. Mercati & Mercati acuisce così le questioni urgenti di Rima in prima copia (d’altronde già la diade del titolo suggerisce una trappola), osservando soprattutto la generale “defunzionalizzazione” delle cose, di oggetti ed eventi che perdono il proprio significato di fronte a ciò che Marx chiamava l’“equivalente universale”, ovvero il denaro, che appare ora, in quanto finanza, ulteriormente smaterializzato. Ecco allora il mercato: la poesia di Semproni descrive questa zona dello scambio universale, nonluogo dei rapporti umani, dove tutto assume senso in quanto non se stesso, «allontanandosi sempre più dall’oggetto del mangiare».