Quando la luce rinasce: il Natale tra Sole e Mistero
Ai nostri lettori di ogni dove, auguri luminosi di ogni bene!
EDITORIALE – C’è un momento dell’anno in cui la luce torna a farsi promessa. Un tempo sospeso, quasi sacro, in cui le tenebre sembrano arretrare e l’uomo, anche nel frastuono del terzo millennio avanzato, avverte un richiamo antico. È il tempo del Natale. Un tempo che ammorbidisce i gesti, apre al sorriso, alla convivialità, al saluto reciproco. Giorni che ci sottraggono, almeno in parte, alla corsa affannosa della quotidianità e ci riconducono in un alveo più umano, più profondo.
Ma il Natale, prima di essere consuetudine, è storia. E simbolo. La data che lo rappresenta – il 25 dicembre – affonda le sue radici ben oltre la tradizione cristiana. La prima attestazione certa della Natività celebrata in quel giorno risale al 336 d.C., nel Chronographus compilato dal letterato romano Furio Dionisio Filocalo. Da qui prende forma una consapevolezza: il Natale, così come lo conosciamo, nasce da un intreccio di culture, riti e significati che precedono il cristianesimo.
I Vangeli, infatti, non indicano una data precisa per la nascita di Gesù. Il 25 dicembre è una scelta simbolica, fissata ufficialmente solo nel V secolo, quando la Chiesa decise di sovrapporre la nascita di Cristo alla celebrazione pagana del Dies Natalis Solis Invicti. Un’operazione culturale potente: sostituire il culto del Sole con quello del “Sole di Giustizia”, evocato dal profeta Malachia, e offrire alle masse una continuità spirituale, più che una rottura.
Non è un caso che il calendario romano fosse già ricco di “natalis”: dal Natalis Romae, che celebrava la fondazione dell’Urbe, fino alla festa del Sole Invitto, ufficializzata dall’imperatore Aureliano nel 274 d.C. e fissata proprio al 25 dicembre. Quel giorno segnava la rinascita della luce dopo il solstizio d’inverno, il momento in cui le giornate, lentamente, tornano ad allungarsi.
I Saturnali, celebrati tra il 17 e il 23 dicembre, e il culto solare che culminava il 25, erano tra le feste più sentite dell’antica Roma. Simboli vegetali come il mirto, il lauro e l’edera richiamavano l’eterna giovinezza, mentre divinità come Dioniso – il bambino divino nato in modo miracoloso – e Mithra, dio solare dei misteri e dell’ordine cosmico, incarnavano il tema universale della rinascita. Mithra, in particolare, veniva celebrato nella notte del 24 dicembre come Genitor Luminis, portatore della nuova luce.
È in questo contesto che il cristianesimo innesta il proprio messaggio. Sotto l’imperatore Costantino, il culto solare e quello mitraico si intrecciano con la nuova fede, favorendo la diffusione del Natale come festa cristiana. Da Roma, la celebrazione si espande verso l’Africa, la Spagna e il Nord Italia, fino a essere riconosciuta come festività legale in Occidente sotto Giustiniano.
Il significato profondo, però, resta immutato nei secoli: l’avvento della Luce che vince le Tenebre. Nel cristianesimo è il Bambino, che nascendo inaugura una vita nuova e porta luce all’umanità. Ma, prima ancora, è il Sole che rinasce. Natale, nella sua etimologia, significa “nascita”. E chi rinasce, alla fine di dicembre, è proprio lui: il Padre Solare, il principio vitale che supera lo stallo del solstizio e si afferma come Invictus, mai sconfitto.
In questo lungo viaggio della luce attraverso i secoli, non si può ignorare un altro simbolo potentissimo che precede e accompagna la storia dell’umanità: la Menorah. Il candelabro a sette bracci della tradizione ebraica è forse una delle più antiche e profonde rappresentazioni della luce sacra. Nel Tempio di Gerusalemme la Menorah ardeva incessantemente, alimentata da olio puro, a indicare la presenza divina che non abbandona mai il suo popolo.
I suoi sette bracci non sono solo luce materiale, ma richiamano i sette giorni della Creazione, l’ordine cosmico, l’armonia tra cielo e terra. Una luce che non serve a illuminare l’esterno, ma l’interiorità dell’uomo, guidandolo nella conoscenza, nella memoria e nella speranza. Anche qui la luce non è semplice fenomeno fisico, ma principio spirituale, rivelazione, vita.
È significativo notare come il tema della luce unisca tradizioni solo apparentemente lontane: la Menorah dell’ebraismo, il Sole Invitto del mondo romano e il Bambino della Natività cristiana parlano, ciascuno con il proprio linguaggio, dello stesso bisogno umano di vincere il buio, di dare un senso al tempo che passa, di credere nella rinascita. Nel cuore dell’inverno, quando le notti sembrano prevalere, l’uomo accende una fiamma per ricordare a sé stesso che la luce ritorna sempre.
Così il Natale, letto anche alla luce della Menorah, si rivela non soltanto una ricorrenza religiosa, ma un archetipo universale: la celebrazione della luce che resiste, che guida, che rinasce. Una luce che, da millenni, continua a parlare all’umanità, attraversando fedi, culture e civiltà, senza mai spegnersi.
Forse è questo il cuore più autentico del Natale: una festa antichissima, fuori dal tempo, che attraversa i secoli cambiando volto ma non essenza. Una celebrazione della rinascita, della speranza, della luce che ritorna. Ed è lì, in quel simbolo universale, che paganesimo e cristianesimo finiscono per incontrarsi, parlando lo stesso linguaggio all’animo umano.
Daniele Imperiale