Ci addentriamo nell’universo narrativo di Giancarlo Pastore, autore di Prima dell’alba (Marsilio, 2025), romanzo di formazione che danza tra desiderio, sessualità, corpo e arte, intrecciandoli come fili di una salvezza possibile.
Prima dell’alba è un passaggio, un rito iniziatico, una voce che accompagna chi si sente “fuori luogo” verso un proprio centro. Un libro che non si dimentica, perché continua a danzare dentro, come una musica sommessa che si insinua nell’anima e lì resta.
In questa conversazione, la voce di Giancarlo Pastore ci conduce alle origini del libro con la limpidezza di chi ha saputo ascoltare prima ancora di scrivere. Andrea, il protagonista, è apparso nel silenzio come un frammento di visione caduto dalla neve, reclamando spazio, parola, respiro. Una presenza che ha chiesto di essere seguita più che guidata, rivelando la storia come un destino da accogliere.
Non ho scelto Andrea: Andrea è arrivato da solo. Mi è apparso, ragazzino, nel buio di una stanza in un giorno pieno di neve davanti al video di Kate Bush, Wuthering Heights: una visione ricca di potenziale, di passione, dramma, amore, dolcezza. Ogni volta che ho cercato di raccontare la sua storia seguendo idee che a me sembravano buone, il romanzo si inceppava: Andrea la conosceva meglio di me, così alla fine ho lasciato fare a lui. Non si è trattato di aderire a fantasiose teorie sulle muse, quanto piuttosto di avere una piena, cieca, fiducia, nel processo della scrittura: si scopre ciò che non si conosceva solo scrivendo e i personaggi ne sanno sempre più di noi. Ho scritto quattro romanzi e molti racconti: nessun protagonista mi ha coinvolto e incantato quanto Andrea.
Andrea è presenza fragile e luminosa, che attraversa gli anni Ottanta con il corpo e con l’anima, in bilico tra sogni e esplorazione del proprio orientamento sessuale. Cosa l’ha guidata nel raccontare il suo processo di crescita e cosa, secondo lei, è cambiato nel modo in cui i giovani di oggi vivono il proprio corpo e la propria identità?
Ho voluto che i miei personaggi avessero un corpo così reale da sembrare tridimensionale: sono vivi, li si vede muoversi, appropriarsi dello spazio, interagire tra di loro e, soprattutto, desiderare il contatto, la fisicità. Internet ha privato le giovani generazioni di questo bisogno di prossimità, la pandemia ha aggravato la situazione. Il corpo come campo di scoperta, lo sguardo diretto, empatico, una certa ritualità collettiva hanno lasciato il posto a rapporti fragili, disincarnati, virtuali. ‘Connettersi’ per Andrea significa stabilire un contatto emotivo profondo, con gli altri e con sé stesso: mi auguro che le giovani generazioni riscoprano il senso originario di quel termine, sarebbe il primo passo di una vera rivoluzione.
I luoghi che abitano Prima dell’alba hanno voce, respiro, e modellano l’anima di chi li attraversa: il paese in cui Andrea nasce e cresce è piccolo e stretto tra le montagne. Quale ruolo hanno i paesaggi, le geografie interiori ed esterne nel costruire il percorso del protagonista?
Il paese di mezza montagna in cui è ambientato il romanzo ha una sola strada, che procede in un’unica direzione e finisce nel nulla; la valle è stretta, chiusa in un abbraccio di monti che la separa dal resto del mondo. Nessun abitante se ne vuole andare: fuori, l’universo è ostile. Poi arriva Andrea, che cade in quei luoghi come un meteorite, con i suoi sogni e il suo corpo diversi da tutti gli altri. Andrea, però, è anche quei luoghi: ha imparato a ballare nel silenzio di quei boschi abitati dalle creature della sua immaginazione, ha imparato l’amore grazie a Dialma, sua madre; andarsene per realizzare il proprio destino sarà un passo tanto necessario quanto doloroso, che implicherà per sempre un guardarsi indietro, verso ciò che ha lasciato.
Nel libro, l’arte non è solo contemplazione: è necessità, è corpo che si fa linguaggio, è gesto che salva. Andrea si affida a voci profetiche, come quella di Kate Bush, per orientarsi nel caos del vivere. Cosa rappresenta l’arte nel cammino di chi cerca sé stesso?
Quando Amedeo, il primo grande amore, accompagna Andrea alla scoperta della pittura, ogni cosa che dice ha per lui un’eco concreta nella sua esistenza. «Devi smetterla di danzare come se danzare fosse qualcosa di staccato dalla tua vita – si sentirà dire più tardi –, balla quello che hai dentro.» Danzare è per Andrea un verbo sempre transitivo: danza il desiderio, la confusione, il dolore, l’amore. L’arte è parte integrante della sua vicenda, occasione per comprendere non solo sé stesso, ma i tanti, diversi, possibili punti di vista, per amplificare la sua vita e accogliere quelle degli altri. Andrea impara presto a riconoscere la bellezza ovunque, a vedere poesia in ciò che sta ai margini, che sembra fuori posto. Per riuscirci, gli basta spostare lo specchio in cui vede riflessa la propria immagine e allargare lo sguardo.
Prima dell’alba è una storia intima e insieme universale. C’è un’idea, un’immagine che spera si imprima nei lettori? Non solo come messaggio ma come esperienza da portare nel proprio vissuto.
Andrea è nato per ballare e per esplorare il suo desiderio d’amore, quando non può farlo sente di non avere nulla da offrire al mondo. Ci sono due frasi, tra le tante, che si sente dire e che considero importanti. La prima è «devi andartene da qui ma non devi scappare, devi andartene danzando.» La seconda, che viene pronunciata in un momento molto duro del romanzo, è «Nessuno ha il diritto di farti sentire sbagliato o di dirti come devi vivere, nemmeno tua madre.» Poche cose sono più importanti della propria autodeterminazione, ma lungo il percorso per la sua conquista è meglio essere pronti ad attraversare la solitudine e a lasciarsi dietro parti di esistenza che consideravamo irrinunciabili.
Grazie a Giancarlo Pastore per essere stato con noi.