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“Pegaso per la luna, binario 1” di Antonio Ripa: un romanzo originale, comico e ricco di intrighi sullo sfondo della dittatura fascista

È l’estate del 1940 quando un gruppo di amici, che si ritrovano nella località di Torre Lapillo per trascorrere le vacanze estive, s’imbatte in una misteriosa statuetta di bronzo. Il reperto, che viene attributo allo scultore greco Lisippo, diventa il fulcro centrale delle avventure dei giovani, oltre che oggetto d’interesse di sempre più persone. La curiosità e la brama verso la statuetta saranno così incontenibili da far degenerare la vicenda in una terribile tragedia che avrà luogo nel Museo Archeologico di Taranto. I lutti della guerra e gli abusi della dittatura fascista fanno da sfondo alla drammatica vicenda che resterà per molto tempo taciuta. Dopo vent’anni, la verità sull’accaduto riuscirà finalmente a emergere?

ANTONIO RIPA è del ’62. Originario di San Pancrazio Salentino (BR), secondo di cinque figli di una famiglia di contadini e allevatori di bestiame è cresciuto nella masseria Casa Santa, nel Salento. Ha frequentato il Liceo Classico “F. De Sanctis” di Manduria”, è laureato in Scienze Biologiche, in Odontoiatria e in Farmacia. Ha lavorato come Informatore Scientifico per l’industria farmaceutica, come Biologo in un laboratorio di analisi cliniche. Attualmente svolge la libera professione di Medico Dentista. Ha mantenuto, insieme con suoi fratelli, la proprietà dei terreni di famiglia coltivati soprattutto a vigneto, grano, uliveto. Ha pubblicato Cari amici vicini vicini (Robin Edizioni 2021), Il re delle puzzette (Robin Edizioni 2022), Pegaso per la luna, binario 1 (Robin Edizioni 2023).

 

Quando è nata la passione per la scrittura e quali sono i tuoi autori preferiti?

“È nata prima la passione per la lettura. A scuola. Non c’erano molti libri in casa, una casa di contadini. C’era, però, una grandissima voglia di cultura, d’istruzione, di progresso sociale. Avevo un’ammirazione, quasi una venerazione, per gli scrittori, i poeti, gli autori teatrali, per tutti coloro, cioè, che riuscivano a dire con le parole ciò che le parole stesse non riuscivano a dire. Nei libri trovavo colori, trovavo odori, perfino sapori provocati su di me come reale sensazione fisica accompagnata da desideri, emozioni anche profonde, commozioni, che hanno lasciato traccia e sono pronte a riaffiorare quando poi mi cimento nella scrittura.

Ecco: la scrittura. La lezione dei miei idoli che ha dato i suoi frutti. Ho cominciato da ragazzo col solito diario, qualche poesia, qualche articolo breve. Scrivere era una voglia che diventava assillo, un’azione necessaria di riequilibrio esistenziale. L’innesco definitivo fu il romanzo di Renée Reggiani Quando i sogni non hanno soldi, lettura imposta alle medie. Meraviglioso. E poi Verga, Manzoni, Virgilio, Dante. E poi Giuseppe Pontiggia, Margaret Mazzantini, Fëdor Dostoevskij, John Fante, García Márquez, Niccolò Ammaniti, José Saramago, Eugenio Montale, Thilo Krause, Eduardo De Filippo, Luigi Pirandello … tanti autori, molto diversi tra loro. Non potrei citarli tutti. Un paio di modelli sono, però, dominanti: Andrea Camilleri e Andrea Vitali. Uno in vetta: Verga.

Quanto tempo dedichi alla scrittura e quali sono le tue abitudini quando scrivi?

“La mia è una scrittura rubata. È l’amante. A lei mi dedico tutte le volte possibili, e le volte possibili s’insinuano nelle ore più strane, nei fine settimana liberi, nelle linee di febbre tra trentotto e trentanove. La scrittura colma i vuoti dell’insonnia, punteggia le mie giornate di appunti brevi, di espressioni ascoltate per caso, di parole che accendono un’immagine.

Poi c’è il lavoro della ricomposizione: un’attività da scolaro diligente che sistema la sintassi, organizza la trama, fluidifica i suoni. Metto la funzione di lettura ad alta voce al computer e ascolto. Il racconto dev’essere un ruscello che scorre, con qualche piccolo salto, qualche cateratta che rompa la monotonia. Scrivo senza isolarmi. Allo stesso tavolo dei miei figli che studiano, di mia moglie che prepara la lezione del giorno dopo. Raramente mi apparto, in genere quando devo sciogliere qualche nodo, districare qualche passaggio che richiede un extra di concentrazione. La scrittura è l’amante che ho presentato a tutti, sempre presente ma innocua”.

Come si è evoluta l’idea di pubblicare un romanzo?

“Avevo già pubblicato poesie su riviste specializzate, brani in raccolte di altri autori, avevo e ho tuttora delle rubriche umoristiche sui social. Ho pubblicato per conto mio la commedia in dialetto salentino Lu Tori Shcuppetta Sparacuccuasci. Quando ho completato il mio primo romanzo Cari amici vicini vicini non mi sembrava male; l’ho inviato ad alcune case editrici e ho subito ricevuto proposte di pubblicazione. Tra queste quella della Robin Edizioni era la migliore, mi sembrava corretta, affidabile, di qualità. Non mi sono sbagliato. Per i suoi tipi ho pubblicato anche il romanzo per ragazzi Il re delle puzzette e, in ultimo, Pegaso per la luna, binario1.

Parlaci dell’ambientazione del libro e raccontaci qualche curiosità in più rispetto alla trama.

“I fatti si svolgono a Messapia, paesino immaginario del Salento a cavallo tra le provincie di Brindisi, Lecce e Taranto. La storia nasce nel 1940 sotto il fascismo e si conclude poco dopo il Concilio Vaticano II di papa Giovanni XXIII. Siamo nella provincia di quegli anni in cui gli eventi tragici della guerra si intrecciano con la vita reale delle persone, ne modificano il corso, ne improntano le idee.

Il racconto non è però tragico, almeno non solo. Ci sono scorci di comicità pura, di quella leggerezza che la natura umana è capace d’intercalare nella sventura e che ci rende capaci di sopravvivere nonostante tutto. Anche le opere d’arte che vengono menzionate, le statue di Lisippo, il vaso di Anfiarao, sono, in definitiva, la testimonianza di quella caparbia capacità di resistere, di opporsi a un destino che proclama distruzione, annientamento, oblio”.

Nella storia si intrecciano le vite di moltissimi personaggi: ti hanno ispirato dei riferimenti autobiografici nella loro descrizione? Quale personaggio pensi ti sia riuscito meglio?

“I personaggi sono come figli. E figl so’ piezz’ ‘e core. Ognuno di loro ha il proprio carattere, carattere che mi è stato imposto da loro stessi. Lo so: è strano sentirmelo dire ma è così. Quando comincio a scrivere una nuova storia ho in mente semplicemente un canovaccio, una traccia generica. Poi le cose vengono da sé, i personaggi crescono tra le righe, occupano gli spazi liberi tra i fogli, mi schiavizzano, comandano loro. Alcuni sono prepotenti e maleducati come Almiranta Capochiancòne, o condiscendenti e rassegnati come Felicita Giselda Matarazzo, astuti come il maresciallo Pio Aspino Spono, furbastri come il podestà Connivenzo Scavato, indolenti come suo figlio Meringo.

Ogni personaggio reclama un ruolo come nei film. Protagonisti, antagonisti, comparse, gregari e condottieri, ufficiali e soldataglia. Molti di loro hanno qualcuno che gli somiglia nella vita reale. Non tutti. Io non descrivo quasi mai il loro aspetto fisico, lascio fare all’immaginazione del lettore perché sono sicuro che chi legge riesca a trovare tra i suoi conoscenti qualcuno che rassomigli ai miei personaggi che sono solo un abito, uno di quelli del commercio: taglia varia, adattabile, calzabile”.

La storia culmina con un atto tragico e con il disvelamento di una verità: quale messaggio hai voluto trasmettere?

“Non ho intenti pedagogici o catartici. Miro solo a divertire chi legge. Non posso, tuttavia, impedire al mio modo di pensare di trasparire. Ma ho messo l’avviso addirittura in copertina col sottotitolo: Cercasi onestà, solo prezzo affare. Onestà: parola abusata che ha bisogno di una fedeltà degna di Abramo disposto a scannare il proprio figlio.

Nella vita di noi comuni mortali capita di dover fare i conti con la nostra coscienza, con la malattia, con il lutto, con la difficoltà economica. Capita che si debba derogare a qualche sano principio, per proteggere sé stessi, un familiare, un bene essenziale, il proprio onore. Il maresciallo Pio Aspino Spono intuisce da subito la verità dei fatti ma tace perché quella verità pronunciata in quel momento avrebbe comportato la distruzione della vita di molte persone. La sua disonestà è un atto di vera pietà umana. Poi però, la giustizia arriva, magari tardi, a volte troppo tardi. Nei miei romanzi i cattivi pagano sempre, prima o poi”.

A chi consiglieresti la lettura del tuo romanzo?

“Alcune scene alludono chiaramente ad atti sessuali anche se ho evitato di proporre dettagli che ho sempre ritenuto inutili. A dirla tutta non capisco perché, nei film ad esempio, si debba mostrare un rapporto intimo quando basti fermarsi alla prima scena, al primo momento, farlo semplicemente intuire. Tuttavia, nel romanzo ci sono passaggi che accennano a un erotismo inadatto ai bambini.

Ci sono anche tracce di un turpiloquio che, per quanto abituale nel linguaggio corrente e non solo tra gli adulti, troverebbe, in un lettore molto giovane, terreno per radicarsi come espressione consueta in sostituzione di quel parlare pulito che non fa ricorso alle parolacce per rendere con efficacia il proprio pensiero.

Detto ciò, fidandomi di chi il libro lo ha già letto direi che Pegaso per la luna, binario 1 possa stare bene in qualunque biblioteca, tra i romanzi storici e tra i gialli, perfino tra i fumetti. Non trovo un genere specifico in cui classificarlo e quindi non credo si possa consigliare a una fetta specifica di lettori. Lo legga chi si vuole divertire purché sia disposto a sentire ogni tanto una stilettata di amarezza”.

Stai scrivendo altri libri?

“Ho già ceduto i diritti, sempre alla mia amata Robin Edizioni, per Il cappio che ti frega, titolo provvisorio, che uscirà credo a settembre. Sto scrivendo un altro romanzo per ragazzi dal titolo provvisorio Le avventure di Zuccatonda e Papparospi, la gara di pipì, e sono in dirittura d’arrivo con il romanzo Ti faccio il mazzo col sottotitolo dis-grazie dei fior. E poi non poniamo limiti alla Divina Provvidenza”.