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La tomba di Lusius Storax al Museo archeologico nazionale La Civitella di Chieti

Gaius Lusius Storax era uno schiavo divenuto liberto per volontà dei suoi padroni, Gaius Lusius e Lusia Iunia. Durante la sua vita venne eletto séviro augustale, il sacerdote addetto al culto dell’imperatore, la più alta carica cui un liberto potesse ambire. La sua posizione sociale gli permise di offrire alla città di Teate l’organizzazione dei giochi gladiatori, ricordati nel fregio del suo monumento funebre, il quale doveva ospitare anche le sue due mogli commemorate nell’iscrizione all’ingresso, Oecumene e Philinna.

I rilievi che la decoravano furono scoperti nel 1886-1888 a Chieti, in prossimità della chiesa di Santa Maria Calvona. In quest’area, punto di arrivo in città dalla via Claudia Valeria, venivano seppelliti i cittadini più facoltosi di Teate.

Oggi i frammenti sono esposti al Museo archeologico nazionale della Civitella, a Chieti, assemblati in modo tale da ricostruire l’aspetto del monumento funebre, il quale doveva avere la forma di un piccolo tempio con camera funeraria preceduta da un atrio d’ingresso.

L’atrio era sovrastato da un’iscrizione che attestava la proprietà del sepolcro e al di sopra correva il fregio con i giochi gladiatori offerti da Lusius Storax alla cittadinanza in occasione della sua nomina a séviro. Sul frontone triangolare era raffigurata una tribuna con al centro la figura di Storax seduto su un alto sedile e circondato da diversi personaggi togati, che rivestivano sicuramente un ruolo politico e cerimoniale.

Ai lati della tribuna erano invece disposti dei suonatori e spettatori di umili origini, riconoscibili per le vesti, che assistono al combattimento gladiatorio. Il fregio con i giochi gladiatori era invece composto da una serie di coppie di lottatori, in cui diversi studiosi hanno riconosciuto almeno due classi di gladiatori: i traci e i mirmilloni.

I traci, armati di una spada curva, si riconoscono per lo scudo rettangolare o circolare, gli alti schinieri e un elmo a calotta decorato con piume. I mirmilioni invece, indossavano un grosso elmo che copriva il volto ed erano armati di gladio.

Oltrepassato l’atrio si accedeva alla camera funeraria, dove addossato alla parete di fondo, doveva essere il ritratto del defunto, raffigurato in posizione seduta, del quale si conserva soltanto la testa.