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Intervista all’autore Giuseppe De Renzi sulla silloge “Roveto ardente”

Roveto ardente è la parabola poetica di un lungo percorso conoscitivo, che va dalla sperimentazione dell’amore, della passione e dell’eros a quello del destino della propria esistenza. L’uomo diventa poeta e il poeta diviene profeta di un destino che va oltre ogni limite fisico e visivo, fino a reclamare per sé il diritto di decidere della propria assoluta libertà.

GIUSEPPE DE RENZI medico Microbiologo è originario del Sud Pontino (Scauri di Minturno) e torinese di adozione. Dal 2011 in poi ha pubblicato diversi testi di prosa, teatro e poesia. Fondatore nel 2012 del Premio artistico-culturale “Dragut”. È scacchista agonista e musicista.

Roveto ardente. Poesie sperimentali (Controluna, 2023) è la sua silloge di cui parleremo nell’intervista di oggi.

Buongiorno Giuseppe e ben tornato. Come nasce la silloge Roveto ardente?

Roveto ardente è nato essenzialmente in un bar. Due anni fa mi sono trasferito con il lavoro in un posto più vicino a casa e da allora mi reco al lavoro a piedi. Prima di entrare per svolgere le mie mansioni, ogni mattina siedo al tavolino di un bar all’angolo della piazza per prendere un caffè e ne approfitto per leggere una poesia, una soltanto per volta. Spesso, dopo averne letta una, mi veniva l’ispirazione per scriverne anche io. Così, giorno dopo giorno, ne ho accumulate circa centoquaranta, che poi ho voluto raccogliere e pubblicare. Le poesie avevano tutte al fondo il nome del bar ma l’editore ha ritenuto di non riportarlo, purtroppo. Però, per compenso, vi ho poi organizzato una presentazione del libro. Una delle poesie è ispirata addirittura alla cameriera che mi porta il caffè ogni mattina.

Nel titolo si legge “poesie sperimentali” cosa significa?

Il termine esatto che uso per descrivere questa raccolta è “esperimentali”, parola un po’ desueta con cui voglio indicare che sono poesie sì sperimentali ma anche esperenziali, derivate cioè da esperienze di vita reale. In esse ho sperimentato delle soluzioni tecniche apprese da altri poeti – Umberto Saba e Quasimodo, tra tutti – elaborando a mio modo varie figure retoriche, che sono molto ben riconoscibili in ogni poesia della silloge, ma al contempo ho voluto raccontare un percorso di vita concreto, che va dai sentimenti amorosi delle prime poesie della raccolta alle esperienze carnali e passionali vere e proprie per finire nello sfociare in una percezione del mondo e della realtà molto più elevato e oserei dire oltre la soglia del visibile. Per questo ho usato l’immagine del roveto ardente di biblica memoria, un arbusto che bruciava senza consumarsi. Credo sia un’iperbole perfetta per descrivere l’esperienza di ognuno di noi quando ci si trovi davanti alla vita e alla realtà.

Quale messaggio vorresti che i lettori assorbissero dai tuoi versi?

È semplice, vorrei che le persone riconoscessero che la realtà tutta è come avvolta in un velo trasparente; c’è una luce che illumina le cose e che dà loro un colore e una essenza diverse. Quella luce io la chiamo trascendenza. Il mondo, le pietre, la gente, le auto… tutto è dentro questa luce. Se si riuscisse a vederla, io credo, il mondo davanti ai nostri occhi cambierebbe di colpo e le nostre azioni, le cose che facciamo, il modo in cui amiamo, muterebbero radicalmente. Nessuno sentirebbe di stare più in guerra con niente e con nessuno. Io questa luce la vedo. Vorrei tanto che la vedessero anche tutti gli altri. La poesia potrebbe esserne un mezzo? È ciò che spero, ardentemente…

Come affronti il processo creativo e l’ispirazione nella composizione di una poesia?

Potrei dire che, coerentemente con quanto dicevo prima, l’ispirazione ed ogni processo creativo siano portati da una sorta di illuminazione, la percezione cioè che ci sia una verità in ogni cosa che vediamo, che sentiamo, che avvertiamo e che viviamo. Nei sentimenti come nelle montagne che ci circondano. Ma anche in cose assai più banali e apparentemente insignificanti, perfino in un granello di sale. Riconoscere che in ogni cosa c’è una verità mi porta a volerla rivelare a me stesso e poi agli altri. Le parole ne sono una conseguenza. Basta farle accordare e consuonare – se mi passa il neologismo – tra di loro.

In che modo le esperienze personali hanno influenzato la scrittura di Roveto ardente?

Uhm, tantissimo. Forse anche troppo. Molte delle poesie di Roveto ardente sono descrizioni di scene vissute. Un esempio eclatante è la poesia TRST, che ho scritto ricordando Trieste, una volta che mi trovai seduto nelle stesse poltroncine di uno dei bar più frequentati da Umberto Saba. La scena che ho descritto in quella poesia è esattamente la scena che ho visto. Ma chi mi conosce dice che sono poesie assai più intime e personali. Non tanto per la parte passionale della raccolta quanto propriamente per quella più spirituale e metafisica, se vogliamo definirla così. L’ultima poesia della raccolta è la chiave di tutto.

Quale idea dell’uomo-poeta emerge dalla raccolta?

E qui siamo al punto. Questa raccolta racconta la vicenda di un’anima che si sente investita di un compito soprannaturale, così gravoso da farle tremare i polsi: diventare carne, imparare il linguaggio, i sentimenti e le emozioni degli uomini per poterli meglio capire e spiegare loro cosa è la trascendenza. Peccato che poi questa stessa anima resti come imbrigliata nella stessa forma umana in cui si è incarnata. Uno spirito, un profeta, forse addirittura qualcosa di più, che sceglie e decide di diventare un uomo e che da quel momento scopre che gli uomini si sentono soli e abbandonati, senza più verità a cui realmente credere.

Riuscirà quell’anima divenuta uomo a raccontare ai suoi simili ciò che ha visto e vissuto quando era ancora nell’Aldilà? E ci tornerà, lì da dove è venuto? Ci pensi: non è questa forse la domanda di ognuno? Questa è l’idea base a sostegno del mio sentirmi uomo e poeta. Sarò pretenzioso, probabilmente, e sembrerò superbo ma noi non siamo cose inanimate. Siamo cose animate. E se siamo cose animate vuol dire che abbiamo tutti un’anima e se abbiamo un’anima è perché ci poniamo queste domande.

Come definiresti il tuo stile?

Nelle mie poesie sono evidenti i richiami all’ermetismo. Ma il mio è un ermetismo visivo. L’intento delle mie poesie è far vedere delle cose, degli orizzonti. Vorrei che leggendo, ai lettori apparisse ogni volta uno scenario come se lo avessero davanti agli occhi. Ma questo non mi basta nemmeno. Già con la prosa ma ancora di più con la poesia il mio stile vuole essere verità. Le sembrerà azzardato ma vorrei aderire ai cosiddetti due principi di Banksy. Il primo principio di Banksy stabilisce che egli ha qualcosa da dire, il secondo che quello che ha da dire è una verità. Ecco.

Hai scritto opere di varia natura, come è cambiata o si è evoluta la tua scrittura nel corso del tempo?

I miei primi racconti erano incomprensibili. Solo in pochissimi – due o tre – riuscivano a carpirne il senso. Erano anche molto sperimentali – lo si è capito, oramai: a me piace sperimentare – e di conseguenza erano difficili. Ad un certo punto ho capito che dovevo invece rendere i miei scritti fluenti e scorrevoli. Ho studiato e letto molto, nel mio piccolo. Ho letto libri e trilogie di grandi scrittori e alla fine ho imparato. Dicono tutti che i miei libri e anche le mie poesie adesso li si legge tutto d’un fiato, per poi però rimanere senza fiato – perdoni il bisticcio di parole. Chi legge i miei scritti vola subito alla fine delle cose, per poi sentirsi costretto a tornare indietro sui propri passi perché avverte che tra le righe ci sono molti altri significati. Ecco, quello che ho imparato nel corso del tempo è il far grondare le parole. Giocando sui loro molteplici significati e sulle assonanze riesco a stendere il bucato mettendo più vestiti ad asciugare sulle stesse corde. Non so se rendo l’idea.

Hai nuovi progetti in cantiere?

Ovviamente sì. Dico ovviamente perché la mia mente è un vulcano in continua attività. Se smettessi di avere progetti morirei un istante dopo. Dopo Roveto ardente ho già pubblicato un altro libro, che sta per andare in stampa. Lo presenterò per la prima volta in assoluto il 16 e 17 febbraio prossimi. Si intitola Sillabi ed è un libro terribile. Io lo definisco il mio Ultimo grande libro. Va dalla Creazione dell’Universo all’Apocalisse, passando per i papiri di Ercolano sepolti nel 79 d.C. dalla lava del Vesuvio e la fine dell’Esistenza di Giacomo Leopardi. Un libro incredibile, per il quale mi sono dovuto documentare a fondo. Sono arrivato alle ultime pagine stremato. Ma non è tutto qui. Sto preparando sceneggiature teatrali e cinematografiche e, dato che da un anno e mezzo suono anche il sax tenore, sto lavorando ad una sinfonia che ha come base gli Arcani, o i Tarocchi, come alcuni li chiamano. E, ovviamente, ho ripreso a scrivere altre poesie…