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Intervista a Paolo Dal Canto sul libro “Il lenzuolo”: uno stile diretto e dissacrante descrive gli abissi dell’animo umano

"La macchia è asciutta, un po' più scura di prima, la sfiora, sulle dita nessuna traccia di sangue, si avvicina ancora di più, inspira a pieni polmoni. Profumo di lavanda".

Una violenza carnale, l’impronta della donna violentata e torturata che resta impressa su di un lenzuolo, una sorta di sindone che ha ben poco di sacro, ma che è l’unica testimone della crudeltà e della ferocia di cui un uomo può essere capace. Il lenzuolo diventa così il vero filo conduttore di questo romanzo, un lenzuolo che si trasforma di volta in volta in strumento di morte, di fuga, di tortura, complice di sparizioni e uccisioni, alcova per incontri d’amore e sesso sfrenati e appassionati e per momenti di tenerezza e complicità, un lenzuolo a cui i due protagonisti affidano le loro speranze e la loro stessa sopravvivenza in un mondo popolato da personaggi ambigui, incredibili, a volte quasi soprannaturali, e dove un arcangelo e il volto di un Cristo crudele si scontrano per la loro redenzione o per la loro dannazione eterna.

Un romanzo dissacrante che con impietosa lucidità e crudeltà ci accompagna nei meandri dell’animo umano senza risparmiarci scene di inaudita violenza, ma che allo stesso modo è capace di riportarci là dove amore e tenerezza sembrano poter dire ancora la loro.

PAOLO DAL CANTO è Nato a Bergamo nel 1964 inizia a scrivere in prima elementare. Le sue prime opere sono i nomi di animali, di verdure e di frutta, ma passeranno un bel po’ di anni prima che questi suoi primi sforzi prendano le sembianze di qualcosa se pur lontanamente simile ad un’opera letteraria. Nel 1998 comincia a scrivere testi per la compagnia teatrale Operai del Cuore, della quale è regista, e ancora oggi per i Pensattori. Del 2020 la sua prima pubblicazione con la casa editrice Mondo Nuovo, una raccolta di racconti dal titolo L’uomo livella. A suo agio con la narrativa breve nel 2021 e 2022 escono con la stessa casa editrice altre due raccolte: Non dirmi che ti piace Baricco e Sputi, per la quale si avvale della collaborazione dell’illustratore toscano Federico Quiliconi.

Lo stile di Dal Canto è irriverente, distopico, dissacrante, tragicomico e al limite del surreale, capace di emozionare e provocare. Accompagnato dal musicista Stefano Taglietti, in cambio di cibo e di un buon calice di vino, l’autore porta in giro per l’Italia folli reading teatrali per presentare le sue opere.

Il lenzuolo (Mondo nuovo, 2023) è il suo primo romanzo.

Come è nata l’ispirazione per scrivere “Il lenzuolo”?

“Quando scrivo parto da una suggestione, un’urgenza, qualcosa di cui ho necessità e bisogno di parlare, un peso, un sassolino, un masso da togliermi dallo stomaco, poi cerco un’immagine, a volte un semplice oggetto che magari non c’entra niente con quello di cui voglio scrivere, ma che è lì che mi guarda, e allora inizio a scrivere. In principio sono solo idee, frasi, parole in libertà che girano intorno all’oggetto e all’urgenza, poi, piano piano, la storia prende forma.

Con Il lenzuolo l’urgenza era legata a una sorta di malessere che ho da un po’ di anni, quella sensazione che la vita altro non sia che una quotidiana lotta per il sopravvivere. Mentre pensavo a questo ero steso a letto e l’oggetto ce lo avevo lì a portata di mano, anzi, ci ero proprio sotto, un lenzuolo, e così ho iniziato a pensare, pensare a quello che un lenzuolo può fare o essere: un lenzuolo può nascondere, filtrare la realtà, la luce, i suoni, può attutire, può spaventare, può essere usato per scappare, per uccidere o uccidersi, può diventare tela, sindone, testimonianza, custodire impressa un’impronta, diventare memoria, simbolo, stendardo, bandiera… un lenzuolo può essere sopravvivenza, e così ha preso vita il romanzo”.

Quanto tempo della tua giornata dedichi alla scrittura?

“Alla scrittura ogni giorno dedico almeno un’ora, ma il tempo effettivo dipende anche da che cosa sto scrivendo e dal livello di “ispirazione” del momento. A volte capita che inizio a scrivere e vado avanti per ore, altre che mi fermo dopo pochi minuti, comunque cerco sempre di mantenere una certa costanza per tenere la mente allenata e la fantasia in movimento”.

Nella narrazione impieghi un linguaggio molto forte, quasi sfrontato se non addirittura provocatorio: quali sensazioni hai voluto suscitare con questa scelta stilistica?

“La durezza di alcune scene, il linguaggio diretto, sfrontato, le provocazioni, tutto questo risponde a una scelta stilistica ben precisa e ragionata. Ho sempre sofferto il falso pudore, quel dire e non dire per paura di disturbare, di offendere, quel cercare di piacere a tutti i costi e di risultare il più possibile gradevole.

Sono dell’idea che se devo dire una cosa il modo migliore per farlo è dirla, nel modo più diretto e conciso, scegliendo sempre la via più breve ed efficace, quindi se per esprimere un sentimento e descrivere un emozione le parole giuste, efficaci sono insulti, imprecazioni, parolacce, io uso quelle, e se mi trovo a descrivere una scena di violenza, di sesso, di crudeltà, io la descrivo per quello che è, perché questo è quello che la vita ci offre.

Quello che però mi dà in più l’atto dello scrivere è che posso maneggiare queste realtà, cambiare i punti di vista, giocare con le emozioni, rendere grottesco e comico ciò che è tragico, o sensuale e romantico ciò che è puro sesso ed erotismo, posso fare tutto, ma quello che conta è che se maneggio emozioni e situazioni forti, tali devono rimanere e io non devo in alcun modo addolcirle. So che ciò che scrivo può non piacere a tutti, ma è una scelta consapevole e spesso la sincerità del mio scrivere è riuscito nell’impresa di far uscire dalla propria confort zone chi mi stava leggendo, lo ha catturato e portato fino alla termine, fino a dove volevo io, e alla fine il risultato è che il libro è anche piaciuto”.

Il lenzuolo sembra vivere di vita propria: cosa rappresenta e quale potere porta con sé?

“Il lenzuolo diventa una sorta di alter ego dei protagonisti, realizza i desideri più nascosti, anche quelli indicibili, crudeli, quelli che vanno contro ogni possibile etica morale, quelli che mai e poi mai potremmo ammettere di avere, ha un valore salvifico, ma ciò da cui i protagonisti sono salvati è il gretto perbenismo, la falsa morale, il lenzuolo è testimonianza evidente di quanto violento e crudele può essere l’uomo e proprio per questo non disdegna la violenza e la crudeltà, eppure sa anche essere rifugio, alcova, nido d’amore.

L’impronta impressa sul tessuto è fatta di sangue, lacrime, liquidi seminali, birra e vino, l’impronta è vita ed è fatta di sfumature, perché la vita è sfumatura. Non c’è il bianco o il nero, il bene o il male ma un arcobaleno di azioni, sentimenti ed emozioni”.

Cosa hai voluto trasmettere attraverso dei personaggi così controversi, in particolare suor Angela?

“Mentre scrivevo ho cercato di entrare nella testa dei personaggi, ho cercato di capire in che modo avrebbero agito di fronte a quello che capitava loro. Ho immaginato che la donna che viene violentata all’inizio del romanzo, di fronte all’impossibilità di difendersi, di scappare, di sottrarsi alla devastazione che veniva agita sul suo corpo, avesse come unica via di uscita, come unica possibilità di sopravvivere, quella di annientarsi, staccarsi da se stessa, diventare spettatrice di ciò che stava succedendo, ma senza calcolare quanto poi sarebbe stato difficile tornarci dentro se stessa.

Ho immaginato un marito inadeguato, incapace di affrontare la situazione e che per sopravvivere decide di non decidere, di lasciare che sia il tempo a cancellare, a curare, per poi scoprire che per certe ferite non ci sono cure. Così sono andato avanti anche con gli altri personaggi, ho cercato di renderli il più umani possibile, e forse è per questo che a volte risultano essere controversi, in contraddizione con se stessi, incapaci di quelle scelte che nei romanzi sembrano così facili, ma che nella realtà non lo sono per niente.

Suor Angela, in tal senso, è forse la più significativa, in lei si incrociano e si scontrano le più grandi contraddizioni, le decisioni più difficili. Suor Angela è fatta di sfumature forti, intense. Lei è vocazione, amore materno, è sesso e blasfemia, erotismo, è rabbia e dolcezza, è morte, è una donna che lotta per autodeterminarsi, per sopravvivere, ma la cosa più importante è che in tutto questo caos cerca il suo piccolo angolo di paradiso e questo paradiso è fatto di piccoli momenti, di “vivi l’attimo”, di carpe diem”.

Come definiresti il tuo romanzo e a quale genere lo senti più vicino?

“Faccio fatica ad attribuire un genere specifico al mio romanzo. Per alcuni aspetti ha le sfumature del thriller, del noir, ci sono omicidi, violenze, c’è sesso, ma ci sono anche amore, tenerezza, ironia, c’è il tragico e il comico, a volte il grottesco. Poi c’è la parte fantastica, quella dove il lenzuolo acquista vita propria, dove un arcangelo e il volto di un Cristo crudele si contendono le anime e le vite dei due protagonisti, eppure, per quanto le cose possano apparire incredibili, tutto avviene in modo reale, quasi ovvio, normale”.

Hai scritto anche altri libri: quali sono i temi salienti dei tuoi scritti e quale evoluzione di scrittura c’è stata tra il primo e l’ultimo libro?

“Questo è il mio primo romanzo. Fino ad ora mi ero dedicato solo al teatro e alla scrittura breve. Ho pubblicato sempre con la casa editrice Mondo Nuovo tre raccolte di racconti. Lo stile sia degli spettacoli teatrali che dei racconti è sempre lo stesso, tragicomico, grottesco e provocatorio. I temi a cui mi dedico più di frequente sono quelli sociali, come la violenza di genere, i diritti dei minori, il bullismo, le diversità legate all’identità sessuale, la guerra, la violenza, ma il fatto che tali tematiche vengano affrontate con questo stile particolare, tragico e comico, alternando il grottesco al drammatico, rende l’effetto finale più forte ed efficace. Mi piace l’idea di riuscire a far passare il lettore dalla risata al pianto nello spazio di poche righe e in questo modo amplificare l’impatto emotivo di ciò che scrivo.

Per quanto riguarda la scrittura credo ci sia stata una sorta di maturazione stilistica, la consapevolezza del potere che le parole possono avere e anche del loro limite e pericolosità. Credo che con il tempo io abbia imparato ad avvicinarmi sempre più ai limiti dell’accettabile senza mai, mi auguro, superarlo del tutto, ma sfiorandolo, portandoci con me il lettore, “io arrivo fino a qui poi il resto spetta a te…”.

Stai lavorando a altri progetti?

“Sto lavorando a una nuova raccolta nella quale ogni racconto prende spunto e vita da un fatto di cronaca reale e attuale. Poi ho iniziato a lavorare al seguito de Il lenzuolo, ma questa è già tutta un’altra storia”.