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Il patrono eremita: su “Sant’Antonio Abate patrono di Vicovaro” di Giuseppe Pomponi

Vicovaro – Che in un paese piccolo esista una produzione libraria che si prenda cura del paese stesso, della sua storia, è ormai utopico. Eppure è stato possibile, e concreto, ad esempio quando nell’86 le Edizioni Radio Onda 1 Vicovaro pubblicarono una serie di libretti ognuno dedicato a un monumento o a un personaggio centrale per la cultura del paese.

Uno – il primo – di questi, scritto dallo storico Giuseppe Pomponi, si concentra su Sant’Antonio Abate patrono di Vicovaro, e in particolare sugli aspetti di «storia, traduzione, folclore». Diviso in due parti, a loro volta ripartite in agili capitoletti, l’opuscolo di Pomponi intende infatti divulgare e insieme esaurire lo spettro di significato storico e culturale che Sant’Antonio occupa – in quanto patrono – nella coscienza vicovarese. Parte così da un’agiografia e biografia del santo, nella prima sezione, in cui racconta non solo le vicende strettamente legate all’eremita di origine egiziana ma anche l’influenza del modello antoniano nel monachesimo occidentale successivo, per arrivare dunque (ed è la seconda parte) a studiare il culto effettivo di Sant’Antonio Abate, le vicende della Confraternita della SS.ma Croce e di S. Antonio.

Il dato più interessante, tuttavia, è la partenza nebulosa, leggendaria, di questa narrazione: il personaggio cui Vicovaro è storicamente devota – Pomponi cita anche canti e filastrocche popolari dedicate al santo – è anche il simbolo – ancora oscuro, radicale – del monachesimo occidentale, in una forma diversa da quella più “civile”, forse anche “colta”, di San Benedetto. Se il monachesimo di Benedetto è quello dell’“ora et labora”, del cenobitismo (quindi della collettività seppur ristretta), quello antoniano è l’eremitaggio nel deserto, l’assoluto ritiro dal mondo.

Vicovaro intesse quindi fin dall’antichità un dialogo con qualcosa di pre o oltre-civile, con una forma di vita che non mira a ricreare una congrega alternativa a quella della società secolare, ma la attraversa e supera sublimandosi nel puro dissolvimento del silenzio e dell’auscultazione di sé e di Dio. Un mistero che si doppiamente rafforza nel momento in cui poco chiare appaiono anche le ragioni dell’affiliazione di Vicovaro al santo – ragioni che Pomponi molto acutamente rintraccia nel ruolo monacale importante rivestito fin dai primi secoli dopo Cristo dalle rocce di San Cosimato, ma ragioni che (in quanto ipotetiche) permettono anche a questo personaggio di eleggersi definitivamente a vero e proprio mito.

La seconda parte del libro, poi, sposta l’attenzione all’eredità spirituale di Sant’Antonio, descrivendo la vicenda della Confraternita nata in suo onore e dell’operato di questa all’interno del paese: un operato di solidarietà, scambio, supporto dei più deboli, protrattosi per secoli, e che Pomponi racconta rifacendosi costantemente alle fonti archivistiche (preziosissimi – per la lingua e per il valore sociologico – ad esempio i campionari del ‘500 e del ‘600 del Monte dei Pegni istituito dalla Confraternita).

In questa maniera – precisione nella verifica delle fonti ma anche attenzione non secondaria al mondo leggendario e folclorico – Pomponi traccia un libretto che risulta ancora oggi fondamentale per conoscere Sant’Antonio e la Confraternita (come realtà storiche e come «esperienze luminose anche sotto l’aspetto civile, laico, umano»), ma anche per recuperare (magari) un discorso nuovo di scrittura e letteratura e storia del territorio.