The news is by your side.

“Il Pane di Vicovaro”: il libro e la missione di Luigi Rinaldi

Vicovaro – Il pane che una volta rendeva famoso Vicovaro, rischia oggi di smarrirsi per sempre dentro la propria ombra. Questo il monito lanciato dal vicovarese Luigi Rinaldi (intervistato anche da Confinelive: https://www.youtube.com/watch?v=Q2aKbewP4WM) che, figlio di panettieri, ha deciso di seguire un percorso di studio e recupero dell’antica e nota tradizione del pane.

Primo step, per Rinaldi – apparso recentemente anche nella trasmissione Geo (https://youtu.be/GeB7Qo468Oo) – la pubblicazione di un libro, nel 2017, che spiegasse le antiche tecniche di produzione, il valore sociale, nonché simbolico, del vecchio pane vicovarese, ma anche proiettasse verso il futuro questo prezioso lavoro di riscoperta, per una panificazione ancora a venire. Così Il Pane di Vicovaro. Storia di un simbolo e della sua comunità, realizzato con il contributo di Arsial, Regione Lazio e Terre Aeque, non mira solo al racconto della tradizione ma coniuga questo con progetti di rivitalizzazione di un’energia che si estende ben oltre la sfera alimentare e coinvolge la struttura sociale nella sua interezza.

L’aspetto più significativo del libro è perciò certamente la sua articolazione, in tre capitoli: “Era”, “È”, Sarà”. Nel primo si ricostruisce la parabola del prodotto vicovarese attraverso una densa raccolta di documenti e interviste ai protagonisti della filiera. In questo racconto il pane vicovarese si caratterizza subito per la “mobilitazione” che è in grado di generare sull’intero schema sociale: concorrono alla sua creazione non solo calcolate tecniche di panificazione (dosi e tecniche di cottura ben precise, come l’uso delle ginestre per accendere i forni), ma anche il rapporto diretto con la terra (dall’aratura e alla trebbiatura), l’arte degli strumenti contadini, la coscienza quasi magica dei cicli delle stagioni.

La storia del pane di Vicovaro è poi un tutt’uno con la sua dimensione extra-alimentare: Rinaldi descrive, in primis, il forte valore simbolico della produzione del pane, sia come processo creativo-lavorativo completo che costruisce l’identità locale, sia come sacralità (si pensi anche ai segni apposti dai panificatori sulle pagnotte), di un tipo ai contemporanei ormai sconosciuto; poi anche l’aspetto socio-politico, dal trasporto in treno e in bici a Roma per la vendita ai contrasti tra forni a legna e vapoforni, nonché al destino della vecchia mola; infine alla “geografia” della panificazione, con la mappa di Vicovaro riprogettata alla luce della disposizione degli antichi forni – ormai scomparsi.

Se il primo capitolo è il più roseo, e con un bagaglio prezioso di immagini e testimonianze (si ricordino anche i canti popolari e le poesie sul tema), il secondo svela le ombre di questa storia. Il capitolo “È” racconta il declino del famoso pane, che Rinaldi attribuisce a una compresenza di fattori, «dalla conflittualità interna tra fornai […] ai continui controlli degli organismi proposti […] dalla scarsa capacità imprenditoriale dei vari soggetti […] all’assenza del supporto delle istituzioni» (p.51)

Su questa presa di coscienza si innesta la spinta propositiva del libro, quel “Sarà” che chiude e che rimane il lascito più importante dell’opera: aprendo con un “Che fare?” di leniniana memoria, Rinaldi propone le sue iniziative: «Inserimento nell’Elenco dei prodotti Tipici del Lazio», «Disciplinare di Produzione», «Valorizzazione e Promozione», «Per una sagra del pane di qualità».

La sfida al futuro è lanciata; ai posteri il compito di restaurare e rinnovare una pratica tanto a rischio d’estinzione quanto fondamentale per il recupero del baricentro di un’identità comunitaria, minacciata, oggi, dal declino dei paesi, dal consumismo fast-food, dalla livella del mercato.