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“Andrà tutto bene!”, la favola di Viviana Bottone che commuove e dà speranza

In questi giorni di quarantena, tutto il Paese sta riscoprendo un nuovo tempo dentro le proprie mura domestiche. Un tempo per stare di più in famiglia, per riflettere, per pregare, per accudire i propri cari. E, perché no, un tempo per scrivere, costruire, creare cose nuove. Come ha fatto Viviana Bottone, scrittrice  e autrice del libro “Favolando. Quando le favole nascono cucinando”, edito da Terra del Sole. In questi giorni di quarantena non è mancata alla giovane scrittrice l’ispirazione creativa per produrre una nuova favola,  “Andrà tutto bene!”, ispirata ai giorni del coronavirus, e che ha voluto condividere con tutti. Una favola che commuove e fa riflettere, e dà speranza a tutti noi che ogni giorni ci sentiamo un po’ persi nei confronti delle persone che amiamo. Ma proprio nell’amore ritroviamo la forza per andare avanti e continuare a sperare. E intanto ci ripetiamo l’un con l’altro: “Andrà tutto bene!”.

Andrà tutto bene!

Il mare limpido rispecchiava la costa meravigliosa, assolata, rigogliosa ma vuota.
Ogni abitante di quelle terre, con la sua famiglia, con voi bambini, rinchiuso in casa.
Dai balconi lunghi striscioni di speranza: arcobaleni colorati con grandi scritte solidari.
“Andrà tutto bene” leggeva Gennarino dal suo balcone.
– Mamma, mamma guarda! Anche Andrea ha fatto l’arcobaleno – disse distraendo la madre dai suoi pensieri. Lei si voltò, sfoggiando il più bello dei sorrisi.
<< Hai ragione amore. La mamma è stata di turno e non abbiamo potuto farlo. Oggi, quando torno lo faremo, promesso! >>.
– Mamma perché mi lasci solo? – incalzò il bambino – In TV ci dicono di non uscire, di restare a casa. Io guardo fuori e non vedo nessuno. Tu dove vai? –
La mamma aspettava quella domanda da un po’ di tempo.
Ci aveva pensato e ripensato ogni giorno all’istante in cui quella domanda sarebbe arrivata. Quando, uscita di casa, nascondendo sotto la giacca guanti e mascherina per indossarli solo dopo aver superato l’uscio di casa, pensava al suo piccolo Gennaro.
Pensava a come tutelarlo da tutto questo.
Ci aveva pensato quando, giunta in ospedale, doveva indossare un’altra mascherina, altri guanti, altre protezioni che nascondevano quella bellezza trascurata da giorni. Solo i suoi occhi castani a riflettersi nello specchio. Aveva pensato a cosa raccontargli al momento di quella fatidica domanda, non potendo lasciarlo ai nonni che, in fondo, abitavano alla porta accanto.
Ci aveva pensato tutte le volte che in ospedale arrivava un nuovo caso. Nel prendere atto di tutto ciò che questo comportava, la preoccupazione che, nonostante le tute, trapelava dai volti dei suoi colleghi.
Ed ora il momento era arrivato. Aveva un’ora di tempo prima dell’ennesimo turno senza sosta che l’attendeva.
<< Vieni qua >> disse dolcemente a Gennarino, allargando le sue braccia. Le distanze in questo caso poteva non rispettarle; poteva stringere forte quel suo piccolo bambino per cui ogni giorno impegnava la sua vita. Quel viso candido che gli dava la forza, durante il giorno, di sorridere. La sua isola felice.
– Mamma non stringermi così forte. – disse il bimbo – La tv ha detto… -.
<< Lo so cosa ha detto la tv piccolo. Ma qui siamo soli io e te. Ed io ho voglia di stringerti ancora più forte oggi >>.
La tv, perennemente accesa come nelle case di tutti, aveva avvertito che da quel momento ci sarebbe stato il picco di contagi nella sua regione. Era spaventata come tutti, ma come tutti sapeva che potevano farcela. Ed è per questo che aveva a lungo riflettuto su come raccontare questa storia al suo bambino.
<< Allora… >> iniziò lei…
– C’era una volta… – le fece eco Gennarino.
<< No amore. C’è purtroppo. Ascolta la storia >> disse infine sistemandosi proprio di fronte a quel grande arcobaleno che le faceva da sfondo. << …in una terra lontana, non molto tempo fa, qualcosa è scappato. Chi l’ha visto per le strade l’ha chiamato mostro, chi l’ha incontrato sul suo cammino l’ha definito piaga, chi per colpa sua è stato costretto in casa ha parlato di maledizione. Noi lo chiamiamo Covid-19. Ma non ti sembra brutto come nome? >>.
Gennarino annuì.
<< Come lo vorresti chiamare tu? >>.
– E tu mamma? Tu come lo chiami? – gli disse lui guardandola fisso negli occhi.
Quel bimbo così piccolo sapeva perfettamente che la sua mamma con quel virus ci aveva a che fare ogni ora.
<< Io lo chiamerò New. Penso al fatto che è diventato l’argomento di ogni secondo, di ogni attimo nella vita di tutti. New ha, come tutti i cattivi delle storie, dei poteri. È veloce, e silenzioso. Tanto veloce da percorrere km e km in poche ore. Tanto silenzioso da non sentirlo arrivare neanche se intorno c’è già silenzio. È così che New è arrivato nelle nostre vite. Con il suo tocco ha stravolto la vita di tanti di noi. Ci sono paesi interi di cui New in pochi giorni si è impossessato. Tutti sono scappati. Ma è stato inutile. New ha un altro potere. Può diventate piccolo piccolo e moltiplicarsi all’infinito. Gli ospedali sono diventati più affollati dei piccoli paesi. New ha seminato ansie e paure. Ci ha costretti in casa… >>.
– Finché? – la interruppe Gennaro.
“Finché?” penso tra sé. Nonostante avesse ragionato sul modo migliore di come far capire al figlio ciò che stava accadendo, senza spaventarlo, non riusciva ad arrivare all’epilogo della storia.
Gennarino scrutò in quel lungo silenzio l’incertezza della madre.
– Ok mamma, se sei d’accordo finirò io la tua storia. Finché, – riprese lui – un bel giorno un sole incandescente, d’accordo con il vento più potente mai esistito e con il mare non elaborarono un piano. Stanchi di quelle strade vuote. Stanchi di non poter più godere delle risate dei bambini, dei pianti dei neonati. Stanchi di non poter, giocando, alzare i capelli dalle teste dei simpatici anziani, di non poter far volare lontano le loro carte da gioco. Stanchi di non poter rinfrescare le madri e i padri, misero insieme le loro proprietà benefiche. Dovevano riportare tutto alla normalità. Così decisero di affrontarlo. Il sole l’avrebbe incastrato con il suo calore immobilizzandolo; il mare si sarebbe alzato così violentemente su di lui da dividerlo con la sua forza in tantissime piccole parti, indebolendolo, e il vento,soffiando più forte che poteva, l’avrebbe spinto lontano lontano. E cosi fecero mamma. E tutto andò bene – aggiunse sorridendo al grande arcobaleno.
Gli occhi della mamma erano lucidi. “Il potere della speranza” pensò. Una forza tale quanto la paura. Se non di più.
<< Hai ragione amore. >> disse << Andrà proprio così. Ora devo andare >>.
– Devi andare a combattere mamma – gli disse fiero.
Questa volta la mamma non aspettò di essere fuori dalla porta per indossare la mascherina
e i guanti. Ma, con naturalezza, lo fece guardando il suo piccolo in quei grandi occhi colmi di
speranza che oggi l’avrebbe aiutata più di ogni altra cosa.

 

Viviana Bottone