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Addio a Nino Benvenuti, leggenda della boxe italiana: “Un uomo può essere distrutto, ma non sconfitto”

Ci sono uomini che combattono una volta sola nella vita. Poi ci sono quelli che combattono sempre, anche quando sembrano già sconfitti."-Italo Nostromo

EDITORIALE – È morto Nino Benvenuti. Ma certi uomini, anche da morti, restano in piedi.

Aveva 87 anni. Se n’è andato a Roma, città che lo aveva adottato e poi osservato invecchiare in silenzio, dignitosamente, senza rumore. Ma il rumore c’era stato, eccome, nella sua vita.

Nato a Isola d’Istria, nel 1938, da famiglia povera, fuggita a Trieste con l’esodo giuliano. Il mare lo aveva visto partire, e forse anche salvarsi. Il mare era dentro di lui. Quella frontiera liquida tra est e ovest, tra fuga e approdo. Da ragazzo imparò che la forza serve, ma non basta. Serve anche stile. E fierezza. La boxe glieli insegnò.

Fu campione olimpico a Roma 1960. Campione del mondo nei superwelter. Poi nei medi.

Ma quello che fece di lui un eroe non furono i titoli. Fu la maniera. La compostezza. La misura. La grazia. L’Italia gli era grata: in lui vedeva un uomo pulito, forte, intelligente. Un Hemingway latino: pugni, solitudine, onore.
E come Santiago nel Vecchio e il mare, Benvenuti scoprì che il vero nemico non è mai l’avversario. È il tempo. È la perdita. È restare fedeli a se stessi quando tutto intorno cambia.

Poi arrivò Emile Griffith.
Tre volte si affrontarono. Tre pugni di storia. Una rivalità epica che divenne amicizia. Griffith, anni dopo, malato e dimenticato, trovò in Nino un alleato. Un uomo che sapeva che la vera vittoria è il rispetto.

“Combattiamo. Ma poi ci stringiamo la mano. E ci riconosciamo.”

Ma la vita, si sa, è più spietata del ring.
Nel 2015, il figlio Stefano si tolse la vita.
Un dolore che non si può mettere in guardia. Nino non fece sceneggiate. Non cercò riflettori. Solo silenzio. Solo lacrime che non si mostrano. Disse a mezza voce: “Questa non si supera.”

Fu come Lord Jim, l’eroe ferito di Conrad: l’uomo che una volta ha ceduto all’abisso, e poi passa tutta la vita cercando di redimersi. Ma Nino non aveva nulla da redimere. Solo da resistere. E lo fece.

Poi venne l’ultimo avversario. L’Alzheimer. Un nemico subdolo, che gli rubava i ricordi, le parole, i nomi. Ma mai la dignità. Mai lo sguardo. Mai l’anima.

Fino alla fine ha combattuto in silenzio. Come fanno gli uomini veri.
E come scrisse Hemingway: “Un uomo può essere distrutto, ma non sconfitto.”

Nino se n’è andato così. In piedi. Con il petto aperto al mondo.
Come chi ha attraversato tempeste. Come chi, alla fine, può guardare negli occhi tutti quelli che ha amato, ferito o perduto.

Un pugile. Un padre. Un italiano.

Un eroe, senza rumore.

a cura di Carlo Di Stanislao