ROMA – C’è un filo invisibile che lega la scienza alla memoria, la precisione del laboratorio al calore dei luoghi d’origine. In questo equilibrio tra rigore e sentimento si colloca il primo libro di Assunta Nusca, biologa e ricercatrice, che dopo una vita trascorsa tra microscopi e analisi scientifiche sceglie di dedicare la sua voce alla terra delle origini, Rovere, frazione di Rocca di Mezzo, piccolo borgo dell’altopiano delle Rocche.
Laureata in Scienze Biologiche e specializzata in Patologia Clinica presso l’Università di Roma La Sapienza, l’autrice ha svolto la propria carriera presso il Dipartimento Ambiente e Prevenzione Primaria dell’Istituto Superiore di Sanità, dove si è occupata di microbiologia delle acque e delle patologie ad esse correlate. Un percorso professionale votato alla ricerca e alla tutela della salute pubblica, che oggi si intreccia con un cammino personale più intimo, quello della riconciliazione con la memoria e con le proprie radici.
Il volume nasce come tributo affettivo e culturale a Rovere, luogo della famiglia e dell’infanzia, scenario che ha custodito nel tempo le storie e i silenzi di generazioni. Un gesto di riconoscenza verso un mondo montano che resiste, tra pietre antiche e stagioni lente, e che continua a parlare a chi ne porta dentro il ricordo.
Assunta Nusca è figlia del compianto dottor Antonio Nusca, stimato medico condotto che dedicò la sua vita al servizio della comunità. Trasferitosi a Carsoli per esercitare la professione, il dottore visse fino alla veneranda età di 105 anni, diventando una figura di riferimento per intere generazioni.
In questo libro, la scrittrice sembra voler ricucire il tempo: tra la scienza e la memoria, tra l’eredità paterna e materna con l’identità dei luoghi che l’hanno formata. È un atto d’amore verso la propria terra e, al tempo stesso, una riflessione sul valore delle radici e sulla necessità di ritornare – almeno con le parole – là dove tutto è cominciato.
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