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La felicità in due righe, editoriale di Stefano Danzi

EDITORIALE – La felicità è un concetto che fa discutere visto le opinioni contrastanti che genera continuamente.
Per renderci tutto più semplice ci affidiamo a definizioni legate al sapere o al dire di altri, così da
darci una risposta che possa placare la voglia di conoscere ogni aspetto dell’esistenza umana.
La scienza ad esempio spiega in modo chiaro chi è il responsabile della felicità e cioè la serotonina
anche soprannominata ormone del buon umore.
Cercando di approfondire su un livello non totalmente, ma quasi etimologico troviamo risposte
che cercano di dare un senso più profondo. Ci viene quindi rimandato che la felicità è un
esperienza di ogni appagamento, può essere anche un augurio o un avvenimento conforme ai
propri desideri.
Cercando di dargli una definizione che propende a stati emozionali ci viene sottolineato che la
felicità non è altro che uno stato emotivo di profondo benessere individuale, connessa anche con
caratteristiche genetiche, fattori socio-demografici, orientamento politico, fattori economici e lo
stato occupazionale.
Rivolgendo uno sguardo al pensiero filosofico ci viene invece suggerito che la felicità non è un
piacere momentaneo, ma uno stato di benessere e realizzazione, intesa come il fine ultimo
dell’esistenza umana.
Infine, ma non per importanza, Nietzsche ci dice che la felicità non consiste nell’assenza di
sofferenza o nel benessere materiale, ma nel superamento di sé, nel rafforzamento attraverso le
difficoltà e nell’accettazione radicale della vita e del suo eterno ripetersi.
Ora la domanda è lecita: è giusto accettare tutte queste definizioni senza cercare di scavare a
fondo arrivando a trarre conclusioni proprie?
Alcuni deducono in modo più pragmatico che la felicità non esiste, ma esistono momenti in cui si
prova gioia. Legando tutto a degli istanti, attimi fuggenti che non torneranno mai più.
Altri provano a metterla in una chiave più sentimentale riferendosi al passato del tipo “ero felice,
ma non lo sapevo.”
C’è anche chi racchiude la felicità nel raggiungimento di un obiettivo, anche se con sforzo e
sacrificio e quindi riconosce la felicità attraverso stati emozionali che per definizione classica non
gli si possono attribuire.
Azzardo nel dire che la felicità è un sentimento così strettamente e intimamente legato alla
propria anima che una vera e propria risposta universalmente valida per tutti non può esistere. Si
può, anche se impropriamente, ridurla ad una vasta gamma di emozioni ed esperienze personali
assolutamente soggettive.
Forse ci si dovrebbe fermare un secondo prima e non cercare a tutti i costi l’oggettività in un tema
così profondo.