Specchi d’amore e ferite: il legame tra madre e figlia nel ricordo intimo di Federica De Paolis, “Da parte di madre” (Feltrinelli)
Allegra ed entusiasta, oppure malinconica e afflitta. Bellissima e fragile, con lo sguardo appena velato da “certi pensieri soffocati”. Così Federica racconta sua madre, la “fantasmagorica mamma bionda” dai gesti istrionici, dal portamento elegante e disinvolto attraverso cui traspare, in filigrana, un’irrimediabile insicurezza.
L’autrice scava nella memoria per comporre il ritratto tenero e disincantato di una donna tutta luci e ombre, e al tempo stesso un tagliente spaccato di famiglia incorniciato nell’ambiente borghese di Roma. Con il suo sguardo di figlia, tra lo struggente desiderio di emulazione e la ricerca della propria identità, osserva la madre e la decostruisce. La rivede vicino al telefono, simile a un lepidottero intorno a un fascio luminoso, a sorvegliare la segreteria in attesa della chiamata di un uomo che non l’ama davvero. La rivede regina e poi schiava dei suoi amori – amori sghembi, fatti di assenza, desiderio, euforia e negazioni. La rivede madre e donna, modello e poi gabbia da cui liberarsi.
Da parte di madre è la storia di un legame indissolubile, di scelte sofferte, della vita che ti prende e ti trascina via ma alla fine ti riporta lì dove tutto ha avuto inizio: la prima casa, tua madre.
Federica De Paolis ha scritto un rocambolesco, intimo, profondo romanzo autobiografico fatto di immagini, voci e atmosfere che trascendono la vicenda personale per tramutarsi, con toccante immediatezza, in una parabola esistenziale che investe tutti noi.
Da parte di madre, Federica De Paolis, Feltrinelli 2024, 240 pp.
Federica De Paolis vive a Roma, dove è nata. È dialoghista cinematografica. Con Le imperfette ha vinto il Premio DeA Planeta 2020. Nel 2022 ha pubblicato Le distrazioni (Harper Collins), Premio Selezione Bancarella 2023. È stata tradotta in diverse lingue. Scrive per “TuttoLibri”-La Stampa.
Buongiorno Federica e grazie per voler condividere alcuni approfondimenti sul sul libro Da parte di madre. Ci racconti, quando ha capito che il ricordo personale doveva farsi narrazione?
Non è esatto dire che ho pensato, né capito che doveva farsi narrazione. Era un desiderio, un salto nel vuoto. Ho sempre scritto di fiction e mai di me, eppure avevo questo “sogno” accucciato nel cuore, raccontare mia madre. Ho scritto questo libro tre volte. Tre libri che non hanno a che vedere niente, l’uno con l’altro. Il primo lo scrissi 20 anni fa, fu letto da tutte le case editrici più importanti, attenzionato ma declinato. Ho provato dieci anni dopo ma non sono riuscita ad arrivare fino in fondo. Quando ho iniziato questa versione, ho seguito il suggerimento di un’amica scrittrice, Maria Grazia Calandrone, mi ha detto: “Parti da un oggetto”. L’oggetto era la segreteria telefonica. Per la prima volta è arrivata una voce nuova, più veloce, per certi versi anche ironica. E un nuovo personaggio: io. Nelle versioni precedenti scrivevo solo di mia madre, in questa versione c’è una narrazione duale, è un corpo a corpo, tra una madre e una figlia.
Racconta di sua madre come una figura quasi mitica, allo stesso tempo fonte di ispirazione e motivo di turbamento. Quando ha iniziato a vederla non più come “mamma” ma come donna complessa, con i suoi desideri e le sue fragilità?
Mia madre è morta vent’anni fa. L’assenza è uno spazio, un pieno. Le incrinature relazionali non esistono più, restano i ricordi, l’elaborazione di una vita. Nel frattempo anche io sono diventata madre, il mio sguardo è cambiato. “L’esercizio” (se così si può dire) nel romanzo, è stato quello di asciugare il giudizio, raccontare lo srotolarsi degli eventi, nuotare nella nostra vita, affiancare mia madre, cercando di accoglierla.
Il legame che descrive è attraversato da silenzi, ferite, omissioni. Quanto di questo è universale nei rapporti tra madri e figlie.
Immensamente universale. La relazione madre figlia è una danza diversa per ognuna di noi, eppure sempre una danza. Questi sono i grandi temi che attraversano la relazione parentale, si trovano in ogni testimonianza. Oggi lo sperimento anche come madre, mia figlia si chiude, oppure sono io a farlo. La famiglia è uno spazio dove in un certo senso bisogna preservare una parte di sé, è impossibile essere completamenti trasparenti.
Che cosa ha capito sull’amore osservando, e poi scrivendo, gli amori di sua madre?
Che bisogna riconoscere i confini. Mia madre si è spinta in delle relazioni che andavo concluse prima, esistono delle linee immaginarie invalicabili, lei non era in grado di riconoscerle. Io sono stata molto attenta, nella mia vita di adulta, ad andare via quando bisognava farlo.
Madre, donna, amante ma anche prigioniera di questi stessi ruoli. Oggi che si parla di “maternità”, pensa che le madri siano più libere o più giudicate?
Penso che oggi la maternità (parlo della mia generazione, io ho 54 anni) sia stata in risarcimento della nostra educazione. Noi siamo cresciuti non attenzionati, lasciati a noi stessi. Evidentemente ne abbiamo sofferto e anche parecchio. Il nuovo modello genitoriale ha messo i bambini al centro del mondo, è cresciuta una generazione blandita, accudita, che non conosce la frustrazione. I ragazzi sono disorientati, fragilissimi. Forse siamo più libere, più emancipate, forse giudicate in un modo diverso rispetto le nostre madri, ma molto in affanno, troppo attente, incapaci di dire no.
Cosa ha scoperto di sé durante il processo di scrittura?
La voce. Una voce che non so usare nei libri di fiction. L’ironia, sapersi prendere in giro. Ho provato a scrivere nuove cose autobiografiche, ho trovato una scrittura nuova che ha un’energia diversa.
Il titolo stesso, Da parte di madre, rimanda a un’origine, a un’eredità. Qual è la cosa più preziosa, o la più ingombrante, che ha ricevuto da sua madre?
Mia madre non era una persona convenzionale, in un certo senso era libera. Io mi sono sentita una donna libera, soprattutto di seguire le mie inclinazioni. Per quanto riguarda la parte oscura, ingombrante, è una zona difficile da definire che ha a che vedere con una sorta di martiro. Un dondolarsi nel dolore. Concedersi pensando che ci sia un ritorno. Nella vita il sano egoismo ci fa vivere meglio e ci mette nella posizione di avere le energie per aiutare davvero gli altri. Lei cadeva in degli spazi di autocommiserazione, nei quali ahimè, cado anche io.
Fonte dell’articolo: Voci di domani