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2 Giugno 1946: la nascita della Repubblica e la rivoluzione democratica dell’Italia

ROMA – C’è una data che più di ogni altra segna uno spartiacque nella storia italiana: il 2 giugno 1946. Quel giorno non fu solo una consultazione elettorale. Fu una svolta epocale. Per la prima volta, gli italiani – e soprattutto le italiane – furono chiamati a decidere il destino politico del Paese: Monarchia o Repubblica. Una scelta che andava ben oltre il semplice cambio di regime.

Dal 1861, anno dell’unificazione, l’Italia era stata una monarchia ereditata dal Regno di Sardegna, guidata dalla dinastia Savoia. Il referendum del 1946 mise in discussione, per la prima volta, questa continuità, dando voce al popolo. Ma quel voto fu anche la prima vera espressione di suffragio universale: le donne, fino ad allora escluse dalla partecipazione politica, entrarono a pieno titolo nella vita democratica della nazione.

Il dato storico parla chiaro: su oltre 28 milioni di aventi diritto, quasi 25 milioni si recarono alle urne (l’89,08%). La Repubblica ottenne 12.718.641 voti, il 54,27%, contro i 10.718.502 della Monarchia. Una maggioranza netta, ma non travolgente, che comunque segnò l’inizio di una nuova epoca.

Dallo Statuto Albertino alla Costituzione

Il 2 giugno non fu solo il giorno della Repubblica. In concomitanza con il referendum, si tennero anche le elezioni per l’Assemblea Costituente. Per la prima volta, cittadini e cittadine poterono scegliere chi avrebbe scritto le fondamenta della nuova Italia: una Costituzione moderna, condivisa, in grado di sostituire lo Statuto Albertino, risalente al periodo monarchico sabaudo.

La partecipazione popolare fu massiccia e consapevole. Non si trattava solo di cambiare istituzioni, ma di dare forma a un nuovo patto sociale. L’Italia stava uscendo da vent’anni di dittatura e da una guerra devastante: c’era bisogno di un orizzonte comune, di regole certe, di diritti garantiti.

Il debutto dei partiti di massa

Accanto al popolo, protagonisti della trasformazione furono i partiti politici. Il voto del 2 giugno segnò anche l’affermazione dei grandi movimenti di massa – Democrazia Cristiana, Partito Comunista Italiano, Partito Socialista di Unità Proletaria – che da quel momento in poi sarebbero stati gli attori principali della vita politica italiana.

Alcuni di questi partiti affondavano le radici nel periodo prefascista, altri erano nati durante la Resistenza. Ma fu solo con le elezioni dell’Assemblea Costituente che ottennero un riconoscimento politico pieno, diventando punti di riferimento per milioni di cittadini.

Una democrazia a metà

Tuttavia, la nuova Repubblica non fu priva di contraddizioni. Mentre la rappresentanza politica si ampliava, la legittimità al governo restava limitata. I partiti di sinistra, come PCI e PSI, pur essendo espressione di ampie fasce della popolazione, vennero progressivamente esclusi dall’area di governo a causa della loro vicinanza all’Unione Sovietica. L’Italia, entrata nel Patto Atlantico, si ritrovò schiacciata tra logiche geopolitiche e aspirazioni democratiche interne.

Il sistema che ne derivò fu una “democrazia bloccata”, in cui non tutte le forze elette erano realmente ammesse al potere. Solo molti anni dopo, con il tentativo del compromesso storico tra Aldo Moro ed Enrico Berlinguer nel 1978, si intravide la possibilità di superare quella barriera. Ma la storia, purtroppo, prese un’altra direzione.

Un’eredità ancora viva

Cosa rappresenta oggi, dunque, il 2 giugno 1946? È l’origine della nostra democrazia, il momento in cui l’Italia scelse di guardare avanti. È il giorno in cui il popolo divenne sovrano e in cui la politica smise di essere privilegio di pochi. È un inizio che continua, ogni anno, a ricordarci che la libertà, l’uguaglianza e la partecipazione non sono mai conquiste scontate, ma frutti da coltivare con cura.