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“Sillabi”, un libro che vibra di natura propria: intervista all’autore Giuseppe De Renzi sul nuovo romanzo pubblicato

Nel Palazzo Giuria a Napoli, in vico del Pero 2, in un appartamento attiguo a quello che ospitò il poeta Giacomo Leopardi nell’ultima parte della sua vita, viene rinvenuto un oggetto misterioso che sembra un antico papiro carbonizzato. Dopo vari studi, il papiro viene riconosciuto appartenere alla collezione dei famosi papiri di Ercolano, anche se non si comprende subito come sia finito nel palazzo in cui morì Leopardi. I proprietari dell’alloggio in cui è avvenuto il rinvenimento sono due persone ipovedenti e saranno i protagonisti di una specie di caccia al tesoro a ritroso nel tempo, fino al momento in cui il papiro fu scritto e affidato a un’ancella, anch’essa cieca, dei nobili romani Pisoni, proprietari della Villa di Ercolano sepolta nel 79 d.C. dall’eruzione del vulcano Vesuvio.

GIUSEPPE DE RENZI medico Microbiologo è originario del Sud Pontino (Scauri di Minturno) e torinese di adozione. Dal 2011 in poi ha pubblicato diversi testi di prosa, teatro e poesia. Fondatore nel 2012 del Premio artistico-culturale “Dragut”. È scacchista agonista e musicista. Sillabi (Argonauta, 2024) è il suo ultimo libro di cui parleremo nell’intervista di oggi.

Finalmente è uscito il nuovo libro Sillabi: quali emozioni e desideri hai per questa nuova produzione letteraria?

Sillabi è un libro potente, come lo definisco io da quando è stato pubblicato. Vibra di natura propria, esattamente come si è imposto a me quasi auto dettandosi. La sua nascita è stata prorompente, oserei dire. Alla fine, quando mancavano ancora quattro capitoli, ero letteralmente stremato, tanto è vero che per risparmiare tempo e energie non lo scrivevo più direttamente al computer ma lo dettavo (o lui a me?) a voce sul mio cellulare e poi lo trasferivo sulla pagina. Questo libro mi ha elevato, culturalmente e spiritualmente. Ho imparato tante, tantissime cose, scrivendolo, e attraverso di esso ho potuto vedere più chiara la domanda che mi assilla da sempre: perché le cose esistono? Perché alcune svaniscono, si perdono, e altre invece si salvano? Cosa o chi determina la loro permanenza nell’Universo o la loro perdizione? Domande non da poco, come si vede. Sillabi fa tremare i polsi. Questo io sento: una potenza che alza la voce e ti parla dentro, senza possibilità di scantonare o di far finta di niente. Alla domanda che pone Sillabi bisogna rispondere.

A cosa rimanda il titolo?

Sillabi si può leggere mettendo l’accento sulla prima sillaba o sulla seconda. Sìllabi o Sillàbi. Nel primo caso è il plurale maschile di sillaba. Ma che non esiste. Il plurale di sillaba è sillabe. Eppure esiste il termine plurale endecasillabi, che è maschile. Come mai il plurale maschile della parola sillaba non esiste e endecasillabi (cioè dieci sillabe) sì? L’esistenza… Esattamente questo è il nodo centrale di questo Libro (scusate se uso la maiuscola). Nel secondo caso, invece, Sillabi è il plurale del termine latino Sillabus, che vuol dire catalogo, elenco… E in questo caso si riferisce alla cose appunto che esistono e che spariscono e a quelle che invece si salvano. Non a caso il libro parla di Creazione e di Apocalisse, passando per la figura centrale del poeta dell’Infinito, Giacomo Leopardi.

Come nasce l’idea per una trama così originale?

Mi incuriosì l’uscita di un libro sui manoscritti ritrovati di Antonio Vivaldi. Il libro, L’affare Vivaldi, di Federico Maria Sardelli, edito da Sellerio editore, parla degli spartiti del grande musicista veneziano, che sembravano perduti per sempre, finché non si scoprì che erano invece stati raccolti e salvati da due musicofili che li avevano fatti custodire nella biblioteca nazionale di Torino, città dove vivo attualmente e dove furono a lungo dimenticati. In quella biblioteca vent’anni fa avevo eseguito delle ricerche per un altro mio vecchio libro (L’ultimo naufragio del Generale) e il ritrovamento delle musiche di Vivaldi in quel luogo mi colpì. È proprio da questo ritrovamento che mi sorse la domanda: ma perché alcune cose si salvano e altre no? Per caso? Per fortuna? Per destino? O c’è un altro motivo? E con Sillabi credo di aver trovato la risposta. Le cose si salvano per Volontà.

Parlaci dei protagonisti e del loro legame con la figura dell’ancella

I protagonisti di Sillabi sono tanti, oserei dire infiniti. Sono protagonisti i testimoni della Creazione, la voce narrante del libro. Dapprima usano un Noi (terza persona plurale, da notare!) ma non si capisce subito quanti siano. Solo a mano a mano che si procede nella lettura si capirà che sono tre. E solo verso la fine si scoprirà chi siano, in realtà. Poi l’altro protagonista è Giacomo Leopardi, in casa del quale sarà rinvenuto un antico papiro sepolto dalla lava del Vesuvio nella devastante eruzione del 79 d.C. che distrusse Pompei e Ercolano.

Ma protagonisti sono anche i papiri di Ercolano stessi, rinvenuti nel 1700. E protagonisti sono quindi anche tutti coloro che concorsero al loro disvelamento. Ma credo che per protagonisti tu intenda Rino e Chiara, i due personaggi ipovedenti che abitano tuttora nello stesso palazzo napoletano in cui Leopardi morì. Rino e Chiara sono due miei amici ciechi, in carne ed ossa. Non sono inventati. E il loro legame con l’altra protagonista del libro, l’ancella cieca, è evidente. È lei che svelerà alla fine del libro il mistero della Creazione. Il significato credo sia palese: soltanto guardando le cose attraverso altri sensi si può arrivare alla verità, anche se a dir la verità – scusa il bisticcio di parole – lei per comprendere cosa le sta accadendo attorno durante l’Apocalisse finale userà proprio gli occhi!

Alcuni approfondimenti sull’ambientazione e quali suggestioni hai voluto trasmettere ai lettori?

Io sono nato a Minturno, l’antica Minturnae dei Romani. Minturnae non è molto lontana da Napoli, da Pompei, da Ercolano. Ho studiato a Napoli e ho visitato anche Pompei diverse volte, così come  pure Ercolano. Dal lungomare del mio paese natale si vede sull’orizzonte Capo Miseno, luogo dove era ancorata la flotta romana di stanza nel mediterraneo. A Gaeta, che dà il nome al golfo in cui si trova il mio paese, re Carlo fa portare la sua giovane sposa, la regina Amalia, quando finalmente arriva nel suo nuovo Regno, accogliendola facendo sparare i cannoni di tutte le navi della sua flotta, accorsa anche da Malta.

Credo che ci sia materiale sufficiente per essere affascinati da tutto questo. Ma la suggestione maggiore, il passaggio che più mi ha emozionato mentre lo scrivevo (descrizione dell’Apocalisse finale a parte) è l’incontro di uno dei scopritori dei tesori di Ercolano, Roque Joaquìn de Alcubierre, con la sua sovrana. Per descrivere quell’incontro, che non so se sia mai realmente esistito, ho dovuto consultare e studiare tutto il Cerimoniale dei Borbone. Immaginatevi questo giovane comandante di fanteria che penetra nella stanza segreta della Regina con un cofanetto in mano, contenente le pietre preziose e i gioielli trovati sottoterra ad Ercolano, e lo sguardo di lei, ancora adolescente, mentre lo scruta domandandosi chi egli sia. Voi come vi sareste sentiti?

Il libro si presenta anche come un viaggio nella storia, vuoi dirci qualcosa a riguardo?

Eh, è questo il punto. Una cosa è l’Esistenza, un’altra è la Vita, un’altra ancora è la Storia. In Sillabi si va come detto dalla fondazione dell’Universo alla sua Apocalisse finale. Ma in mezzo c’è la Vita e la Storia. La Storia, in questo senso, è la discendente diretta dell’Esistenza. È la sua realizzazione, si può dire. Se l’Esistenza rappresenta l’Avo, la Vita è la Madre e la Storia la Figlia. Spero di essere stato chiaro.

Quale significato o idea custodisce l’opera?

Come detto prima, Sillabi risponde alla domanda delle domande. Perché esiste l’Esistenza? Perché noi esistiamo? Si può dire che la Vita finisca sempre. È sotto i nostri occhi. Tutti moriamo. Tutte le cose muoiono. Anche la Terra morirà. Anche il Sole. Anche l’Universo, per come lo conosciamo. Ma l’Esistenza? Che fine fa l’Esistere? Possiamo rinunciare volontariamente ad esistere? Noi uomini abbiamo la facoltà di toglierci la vita, se lo desideriamo. Ma possiamo decidere di toglierci l’esistenza? E la risposta, io credo, è in ciò che deciderà Leopardi alla fine del libro, quando lo si vedrà da solo in preda al suo delirio ultimo al centro dell’Apocalisse.

A chi consiglieresti la lettura di Sillabi?

Bella domanda. Qualcuno mi ha detto che Sillabi è scorrevolissimo. Si legge quasi di corsa, perché capitolo dopo capitolo si ha voglia di sapere come va a finire. Ecco, io lo consiglierei a tutti coloro che sono curiosi di sapere “come va a finire”.

Quale è stato il momento più gratificante e emozionante nella tua esperienza come scrittore?

Ce ne sono stati tanti. Il primo fu quando pubblicarono il mio primo racconto, su una rivista di Pescara che si chiamava Inedito. Il secondo fu quando una mia amica mi abbracciò dicendomi che il mio primo romanzo, che aveva divorato in una notte sola, l’aveva commossa. Il terzo è stato quando, finito di scrivere Sillabi, ho riletto il finale e sono scoppiato a piangere. Un pianto irrefrenabile. Vedere Giacomo Leopardi inginocchiato nel bel mezzo dell’Apocalisse, che non si accorge di tutto il pandemonio che sta ruotando attorno a lui, sorvegliato a vista da una allibita Beatrice –  la Beatrice di Dante, per intenderci –  mi ha fatto cedere all’emozione e mi ha fatto dire: questo è un gran libro!