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La didattica a distanza: un’arma a doppio taglio, il punto di vista di Giulia Grignani

Editoriale – Massimo Gramellini è un giornalista e scrittore italiano della rubrica “Il Caffè”  del “Corriere della Sera” che ha pubblicato un interessantissimo articolo sull’insegnante migliore del mondo: RanjitsinhDisale. Il maestro di un villaggio del Maharasthtra, in India, ha vinto il premio del “Global TeacherPrize” del valore di un milione di dollari che ha deciso di condividere con gli altri nove finalisti in lizza per il titolo. Il premio, più che meritato, gli è stato conferito poiché è riuscito a trasformare delle ragazze di un villaggio indiano, che si recavano raramente a “scuola”, in ragazze dedite allo studio, appassionate all’arte, alla poesia e alla matematica.

É riuscito nel suo intento grazie alla tecnologia; infatti facendo lezioni in presenza e a distanza è riuscito a cambiare le vite di quelle ragazze che, fino a poco tempo prima, erano costrette a lavorare nei campi e a prepararsi al matrimonio anziché dedicarsi allo studio. Gli insegnanti hanno il compito di salvare il futuro, mai frase più vera fu pronunciata. Li percepisco come se fossero dei genitori, sia se condividono con noi esperienze per più anni, sia se si tratta di un breve incontro in quanto ogni persona lascia qualcosa nel cuore di chi incontra. Mi trovo estremamente d’accordo con Gramellini nell’elogiare questo professore per il suo operato. Credo che non tutti possano permettersi di esercitare la professione del professore, una mansione tanto criticata da studenti e genitori, quanto ammirata per ciò che dona e  riesce a condividere.

Da molti mesi, otto per la precisione, sono “costretta” a seguire le lezioni della mia scuola in modalità a distanza. Trovo che sia sbagliato fare un confronto tra ciò che sto vivendo io e ciò che hanno vissuto le ragazze indiane. Il contesto sociale è totalmente diverso: nella Costituzione del mio paese è presente un articolo che conferisce a me e ai miei compagni il diritto allo studio, mentre in India la situazione è del tutto diversa, basti pensare che le ragazze citate nell’articolo di Gramelllini anziché studiare si preparavano a un imminente matrimonio. Studiare per me è un’azione ormai meccanica, quasi scontata, mentre per quelle giovani donne si è trattato di una cosa fantastica, un miraggio che è riuscito a cambiare la loro vita. La didattica a distanza in India è stata come una manna scesa dal cielo,mentre ho molti dubbi sull’esistenza di così tanti  benefici ottenuti da noi Occidentali durante questo periodo.

Questa fase della nostra vita di certo ci ha insegnato che nulla si può più dare per scontato: dall’abbracciare i propri cari, al vedere i nostri amici, al praticare il nostro sport preferito. Ma se mai nel passato qualcuno mi avesse detto che per molto tempo, e chissà quanto ancora, avrei smesso di andare a scuola, mi sarei fatta una grossa risata come risposta, paragonando il “profeta” in questione ai famosissimi Maya che ogni tanto ritornano sulle bocche della gente avendo profetizzato la fine del Mondo, che mai si verifica. Stress, stanchezza, male agli occhi e alla schiena, mancanza di contatti con il mondo esterno, attacchi di panico, depressione, o anche la semplice e forse troppo presa per scontata tristezza, queste sono solo alcune delle cose causate dalla didattica a distanza e dal periodo di pandemia che stiamo vivendo.  Ormai sembrano passati anni, ma a ricordare il marzo scorso mi vengono i brividi. Da un giorno all’altro mi sono ritrovata priva di libertà, costretta a stare chiusa in casa e a passare le giornate chinata sulla scrivania davanti al computer, costretta a non andare più a scuola e a pensare incessantemente che è la prima volta che accade dalla Seconda Guerra Mondiale, immaginando e cercando di rimembrare i bei giorni trascorsi all’aria aperta in compagnia delle persone che amo. All’inizio eravamo tutti un po’ felici quando ci è giunta alle orecchie la notizia della chiusura temporanea delle scuole, ma non c’è voluto molto per realizzare che non era come quando nevica nella nostra città, vengono chiuse le scuole, e ci si ritrova in piazza a giocare a palle di neve.

Questa volta è stato diverso: dieci giorni di chiusura, poi un mese, poi tutto il secondo quadrimestre, settembre è arrivato e ci ha fatto ben sperare per poco in quanto subito siamo ripiombati nell’incubo della DAD.  Sembra passata una vita.  Mi appaiono ormai come un ricordo lontano le ore passate insieme ai miei compagni. Le litigate (perché diciamocelo: chi è che non ha mai litigato con i propri compagni di classe?), i pianti per i brutti voti, la paura di un compito o di un’interrogazione, gli appunti inviati su Whatsapp tramite foto fatte male, guardare i film in classe, avere un dibattito, poter condividere le proprie opinioni e rendersi conto che anche se all’apparenza siamo un gruppo eterogeneo, in fondo non siamo poi così diversi. Tramite il computer purtroppo non si riesce ad avere tutto questo e gli effetti e i risultati di questa nuova modalità li percepiamo tutti come un macigno sulle nostre spalle che ha reso le giornate da piene di mille colori a grigie e monotone, come se fossimo intrappolati in un loop infinito, come se ogni giorno si ripetesse sempre la stessa giornata.

Una peculiarità del mio carattere però è cercare di trovare sempre il buono nelle cose brutte e, da marzo, al termine delle lezioni mi pongo quotidianamente l’obiettivo di trovare una cosa bella nelle lezioni che ho seguito e far sì che ogni giorno sia diversa dal giorno precedente. In tal modo ho sviluppato un meccanismo mentale che mi ha permesso di aggrapparmi a qualcosa anche quando mi sentivo scivolare giù, anche quando le giornate di quarantena erano troppo pesanti da poter essere sopportate. Ho visto compagni di classe spegnersi piano piano e perdere tutta quella vivacità che avevano, altri invece si sono confermati come i più gioiosi e anche alle otto, appena svegli, mentre siamo tutti un ancora un po’ addormentati, riescono a urlare uno squillante buongiorno che a volte mi fa domandare dove riescano a trovare tutta quella voglia di gioire a quell’ora del mattino. Ho visto professori costretti ad imparare come utilizzare uno strumento per loro sconosciuto, li ho visti impegnarsi, metterci il cuore e dispiacersi con tutti se stessi quando non riuscivano a fare qualcosa o non riuscivano a capire una nostra “lezione” su come  essere in grado di  utilizzare correttamente le  piattaforme che ci stanno permettendo di rimanere in contatto. Questo periodo ha cambiato un po’ tutti, non possiamo più dare per scontato niente, nemmeno una semplice risata del nostro compagno di banco.

Dopo aver letto questo articolo però, mi sento quasi in colpa per aver dato per certo tutto questo, per averlo criticato tanto quando in realtà, nello stesso mondo in cui vivo, ci sono ragazze come me che, invece di divertirsi e dedicarsi allo studio, sono costrette a mettere su famiglia, ad essere sottomesse prima ai propri padri e poi ai loro mariti. Mi sono sentita in dovere di  andare a ricercare degli aspetti positivi della didattica a distanza e del modo in cui sto vivendo la scuola in questo anno scolastico, che tra l’altro, è l’ultimo che potrò passare con i miei compagni al Liceo Lazzaro Spallanzani. Di positivo c’è di certo che ci si può svegliare più tardi per iniziare le lezioni, non ci si deve “far belli”, si riescono a vedere piccoli scorci delle camere da letto dei nostri amici che ci fanno capire ulteriormente le loro personalità in quanto a mio avviso, la camera da letto di una persona e come viene organizzata è un po’ come uno specchio dell’anima, si possono trovare nuovi modi di interagire sulle piattaforme digitali, come abbiamo fatto io e alcuni miei compagni per alcuni lavori di gruppo, riuscendo a lavorare su uno stesso progetto in tempo reale. Insomma se si inizia a scavare nel profondo qualche lato buono a questa tanto criticata didattica a distanza si può trovare. Ma una cosa è certa, quando e se torneremo a scuola, non saremo più le stesse persone che chi ci circonda si ricorda: siamo maturati, cambiati, forse anche peggiorati più che migliorati. Non posso però accusare me o i miei coetanei di questo in quanto noi di certo ci abbiamo e ci stiamo mettendo il cuore in ogni cosa che facciamo, cercando di darci forza l’un l’altro e di non abbatterci, ricordandoci che riusciremo a superare anche questa brutta avventura se restiamo uniti.

Spero che questi nostri tentativi di rimanere forti e di cercare di dare il massimo,  nonostante quello che stiamo vivendo,  siano stati notati e percepiti dai nostri professori. Mi preme inoltre precisare, in conclusione, che siamo pur sempre adolescenti, neo maggiorenni, ragazzi appena entrati nel mondo degli adulti in questo periodo così strano che lascerà nei nostri cuori e nelle nostre vite un’amara sensazione: la sensazione di non aver potuto vivere appieno e come avremmo voluto molti giorni della nostra vita che non ci verranno mai restituiti. (Giulia Grignani)