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Capaci, 23 Maggio: la memoria come resistenza

Il 23 maggio 1992, sull’autostrada A29 nei pressi di Capaci, la mafia fece esplodere cinquecento chilogrammi di tritolo sotto il manto stradale, uccidendo il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, e tre agenti della scorta: Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Oggi, a 33 anni da quella strage, l’Italia si ferma per ricordare. Ma ricordare non basta: occorre capire, interrogarsi, scegliere.

La strage di Capaci non fu soltanto un attentato contro un uomo. Fu un attacco allo Stato, un messaggio sanguinoso lanciato da Cosa Nostra contro chi osava scardinarne il potere. Falcone, insieme all’amico e collega Paolo Borsellino, incarnava un’idea di giustizia che non si piegava, una lotta al crimine organizzato che si faceva metodo, visione, sacrificio. Con lui è stata colpita l’idea stessa che la mafia potesse essere combattuta e sconfitta.

Nel 2025, la memoria di Capaci rischia di scolorirsi nella retorica, di diventare un appuntamento rituale più che una chiamata all’impegno. Ma ogni 23 maggio dovrebbe essere invece una pietra miliare della coscienza civile italiana. Perché la mafia esiste ancora. Ha cambiato volto, linguaggi, strategie, ma continua ad avvelenare l’economia, la politica, il tessuto sociale. E continua a cercare l’ombra, l’indifferenza, la rimozione.

Ricordare Falcone significa invece tenere accesa la luce. Significa chiedersi ogni giorno cosa possiamo fare, nel nostro piccolo, per spezzare il silenzio, per educare alla legalità, per premiare la trasparenza e denunciare la complicità. Significa non dimenticare che quel giudice, a cui tanti avevano voltato le spalle in vita, è diventato un simbolo solo dopo la sua morte. Ma a nulla servono i simboli, se non sono strumenti di trasformazione.

Oggi le scuole, le istituzioni, le piazze si riempiono di lenzuoli bianchi, di cori, di commemorazioni. È giusto, è importante. Ma la vera sfida è portare Capaci fuori da Capaci, fuori dal 23 maggio. Renderla coscienza quotidiana, impegno diffuso, responsabilità collettiva.

Falcone diceva: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un inizio e avrà anche una fine.” Il compito di accelerare quella fine è nostro. Oggi più che mai.